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Darkmind
si ma allora non capisco perché non fare subito un certo tipo di movimento, attualmente la Roma ha in uscita quattro pezzi da novanta: Naingolan, Strootman, Dzeko e Emerson. Tolto l'ultimo, gli altri tre non credo avessero problemi a trovare mercato, magari non tutti insieme ma scaglionati con un mercato volto a trovare contropartite tecniche di livello più giovani su cui investire. Allo stato attuale delle cose la Roma più che vendere, perde pezzi che all'interno di un'ottica di gioco in cui si gioca almeno ogni 3 giorni, non è proprio la scelta più adatta.
Quello che voglio dire è che va benissimo vendere, ma dietro ci deve essere un progetto di un certo tipo cosa che faccio fatica a intravedere nella Roma.
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La Roma americana ha sempre recitato il mantra dell’autofinanziamento. Plusvalenze a ripetizione, i calciatori come asset da valorizzare. E in effetti le annunciate vendite di questa sessione si inseriscono in un solco già tracciato. Da quando i giallorossi sono stati acquistati dalla cordata statunitense, guidata (dal 2012) da James Pallotta il mercato, è stato irrinunciabile: tra il 2011-12 e il 2016-17 sono stati incamerati 301,2 milioni di plusvalenze (al netto delle minusvalenze), con il record di 94,8 della scorsa stagione, grazie all’iscrizione a giugno delle cessioni di Rüdiger, Salah e Paredes. Il guaio è quando le super-vendite non bastano. Anche l’ultimo bilancio si è chiuso in perdita: -41,7. Nel 2015-16 il rosso era stato inferiore (-14,6) ma negli esercizi precedenti il conto economico aveva avuto sbilanci annui di una quarantina di milioni. Questo perché la Roma non è che abbia badato solo a dismettere. Nel tentativo di agganciare il top della classifica e i premi Uefa, ha investito in cartellini (lo ha fatto pesantemente anche la scorsa estate) e ha ingrossato i costi di gestione, in primis gli stipendi che sono passati dai 103 milioni del 2011-12 ai 155 del 2015-16 per scendere a 145 nel 2016-17. Insomma, i conti spesso non sono tornati. Anche perché il fatturato dipende eccessivamente dai proventi della Champions e, in attesa del nuovo stadio, il segmento commerciale non ha mai dato i frutti sperati da Pallotta, fin troppo esigente sulla valorizzazione del main sponsor, che manca dal 2013.
FABBISOGNI Per tenere la barra dritta in questi anni è stato fatto ricorso, oltre che al trading, alla leva finanziaria, con i beni giallorossi dati in pegno a Goldman Sachs, in cambio di 175 milioni, saliti nel frattempo a 230. E gli azionisti, a più riprese, hanno dovuto mettere mano al portafogli: versati in conto capitale 50 milioni nel 2011-12, 27 nel 2012-13, 23 nel 2013-14 e 70 (più 18 di prestiti) nel 2016-17. A ottobre l’assemblea ha deliberato un aumento di capitale da 120 milioni ma una novantina erano stati già sborsati dalla proprietà. Insomma, servono sempre soldi. Non a caso gli amministratori, prevedendo un risultato 2017-18 in significativo miglioramento, mettono per iscritto che "i fabbisogni finanziari del Gruppo saranno coperti attraverso i flussi finanziari generati dall’attività ordinaria e dall’ulteriore ricorso all’indebitamento finanziario, oltre che, se necessario, dal realizzo di asset aziendali, in particolare riferiti ai diritti pluriennali alle prestazioni sportive dei calciatori, il cui valore di mercato complessivo è ampiamente superiore al valore contabile e rappresenta una solida base di sicurezza per la continuità aziendale". Quando la cassa chiama il mercato è un’ancora di salvezza. Peraltro, i grattacapi della Roma non si limitano alle necessità finanziarie. C’è il fair play Uefa da rispettare. Il club ha sforato i parametri del break-even con il pesante rosso dell’ultimo bilancio e rischia ulteriori sanzioni, imponderabili dal momento che è già sottoposto al settlement agreement. In primavera si saprà. Una gestione giudiziosa del mercato invernale – almeno questa è la speranza dei dirigenti - potrebbe ammansire i giudici di Nyon. Se poi non si dovesse centrare la qualificazione alla Champions, il quadro peggiorerebbe ulteriormente.