Milan, i misteri di Li: ci sono pochi capitali sotto la maglia rossonera
Ha presentato carte che indicano un patrimonio personale di mezzo miliardo, ma le sostanze dell’uomo d’affari di Hong Kong risultano già in pegno a enti e istituzioni
Mister Li, il presidente-minatore del Milan, è appena arrivato e già bussa alle banche per un rifinanziamento. Il problema è doppio: il debito contratto per acquistare il club è troppo gravoso e la scadenza dei rimborsi è esattamente tra un anno, il 15 ottobre 2018 quando l’hedge fund Elliott potrà esercitare le garanzie (un pegno su tutto il Milan) se il suo credito non sarà soddisfatto. Poco tempo per la mole di debiti, 300 milioni solo con Elliott tra bond del Milan e prestiti al numero uno del club. Nel frattempo sulle personali disponibilità di Yonghong Li emergono nuove ombre. L’Economia in edicola lunedì racconta contraddizioni e misteri del numero uno e fa il punto sul «cantiere» Milan. E’ come se il finanziere cinese avesse comprato la Ferrari, fatto il pieno e finito i soldi. Che cosa si nasconde dietro gli affari di Li, le sue miniere, le sue partecipazioni azionarie? I dubbi estivi di James Pallotta, proprietario della Roma, sulla sostenibilità economica della gestione Milan e la freddezza di Silvio Berlusconi non hanno certo contribuito a rafforzare la credibilità di mister Li. Che però ha costruito, potenzialmente, uno squadrone dopo una campagna acquisti faraonica da 200 milioni. Ma lui effettivamente quanto ci ha messo? E i famosi 500 milioni di patrimonio personale da dove vengono? Le trattative con le banche per rifinanziare il Milan e le sue holding in Lussemburgo e a Hong Kong sono già avviate. Ma le banche vogliono garanzie altrimenti il denaro che «vendono» costa di più. A questo punto toccherà al cinese di Hong Kong uscire allo scoperto oppure limitarsi a offrire in garanzia, di nuovo, tutte le azioni del Milan, i marchi, i conti corrente, l’archivio, i contratti con gli sponsor e così via.
Colletti bianchi troppo impuniti?
Dalla galassia Milan alle considerazioni sulla giustizia che risparmia troppo i colletti bianchi. Ferruccio de Bortoli, alla vigilia di un decreto del Tesoro che fisserà nuovi requisiti per la partecipazione agli organi di vertice delle banche con giusti irrigidimenti sulle incompatibilità e altre questioni delicate, si interroga sull’armamentario a disposizione per contrastare reati finanziari e contro la pubblica amministrazione. Un pacchetto abbondante ma non sempre efficace. Anche perché non c’è quasi mai una sanzione «reputazionale». Business community e corporazioni fanno spesso muro. Negli ultimi giorni si è riacceso il dibattito, mai sopito, sulla solidità delle banche europee. Si discute di nuove regole severissime sui crediti inesigibili (sofferenze). Ma perché l’Europa ci vuole in castigo? I termini della vicenda e qualche idea su come potrebbe andare a finire.