PDA

View Full Version : Referendum Trivelle



Bortas
21st March 2016, 11:17
Prende banco in questi giorni di appiattimento politico questo referendum, sbucato un po' dal nulla, sul rinnovo delle concessioni di trivellamento nel mediterraneo per estrazione di idrocarburi.
Tra ambientalismo e ragioni trasversali fa parlare molto di se.

Mellen
21st March 2016, 11:51
potrebbe essere utile.primo articolo trovato. da repubblica


Sì o no alle trivelle, cosa sapere per votare al referendum

ROMA - Il 17 aprile si voterà sulle trivelle. Il referendum è stato voluto da 9 Regioni (Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Veneto) preoccupate per le conseguenze ambientali e per i contraccolpi sul turismo di un maggiore sfruttamento degli idrocarburi. Non propone un alt immediato né generalizzato. Chiede di cancellare la norma che consente alle società petrolifere di estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane senza limiti di tempo. Come è accaduto per altri referendum, il quesito appare di portata limitata ma il significato della consultazione popolare è più ampio: in gioco ci sono il rapporto tra energia e territorio, il ruolo dei combustibili fossili, il futuro del referendum come strumento di democrazia.

La domanda che si troverà stampata sulle schede è "Volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c'è ancora gas o petrolio?" Dunque chi vuole - in prospettiva - eliminare le trivelle dai mari italiani deve votare sì, chi vuole che le trivelle restino senza una scadenza deve votare no.

I due schieramenti sono rappresentate da comitati. Da una parte c'è il Comitato Vota sì per fermare le trivelle "Il petrolio è scaduto: cambia energia!") a cui hanno aderito oltre 160 associazioni (dall'Arci alla Fiom, da quasi tutte le associazioni ambientaliste a quelle dei consumatori, dal Touring Club all'alleanza cooperative della pesca). Dall'altra un gruppo che si definisce "ottimisti e razionali" e comprende nuclearisti convinti come Gianfranco Borghini (presidente del comitato) e Chicco Testa, il presidente di Nomisma energia Davide Tabarelli, la presidente degli Amici della Terra Rosa Filippini. Ecco, punto per punto, le ragioni dei due schieramenti.


Quanto petrolio è in gioco?

Le ragioni del sì
Secondo i calcoli di Legambiente, elaborati su dati del ministero dello Sviluppo economico, le piattaforme soggette a referendum coprono meno dell'1% del fabbisogno nazionale di petrolio e il 3% di quello di gas. Se le riserve marine di petrolio venissero usate per coprire l'intero fabbisogno nazionale, durerebbero meno di due mesi.

Le ragioni del no
Secondo i calcoli del Comitato Ottimisti e razionali la produzione italiana di gas e di petrolio - a terra e in mare- copre, rispettivamente, l'11,8% e il 10,3% del nostro fabbisogno. (Visto che questo dato comprende anche le piattaforme che non rischiano la chiusura perché non sono oggetto di referendum, su questo punto le stime dei due schieramenti non si allontanano: l'85% del petrolio italiano viene dai pozzi a terra, non in discussione, e un terzo di quello estratto in mare viene da una piattaforma oltre le 12 miglia, non in discussione).


Qual è l'impatto del petrolio in mare?

Le ragioni del sì.
A preoccupare non sono solo gli incidenti ma anche le operazioni di routine che provocano un inquinamento di fondo: in mare aperto la densità media del catrame depositato sui nostri fondali raggiunge una densità di 38 milligrammi per metro quadrato: tre volte superiore a quella del Mar dei Sargassi, che è al secondo posto di questa classifica negativa con 10 microgrammi per metro quadrato.
Inoltre il mare italiano accanto alle piattaforme estrattive porta l'impronta del petrolio. Due terzi delle piattaforme ha sedimenti con un inquinamento oltre i limiti fissati dalle norme comunitarie per almeno una sostanza pericolosa. I dati sono stati forniti da Greenpeace e vengono da una fonte ufficiale, il ministero dell'Ambiente: si riferiscono a monitoraggi effettuati da Ispra, un istituto di ricerca pubblico sottoposto alla vigilanza del ministero dell'Ambiente, su committenza di Eni, proprietaria delle piattaforme oggetto di indagine.

Le ragioni del no
L'estrazione di gas è sicura. C'è un controllo costante dell'Ispra, dell'Istituto Nazionale di geofisica, di quello di geologia e di quello di oceanografia. C'è il controllo delle Capitanerie di porto, delle Usl e delle Asl nonché quello dell'Istituto superiore di Sanità e dei ministeri competenti. Mai sono stati segnalati incidenti o pericoli di un qualche rilievo. Il gas non danneggia l'ambiente, le piattaforme sono aree di ripopolamento ittico.
I limiti presi a riferimento per le sostanze oggetto di monitoraggio e riportati nel rapporto di Greenpeace non sono limiti di legge applicabili alle attività offshore di produzione del gas metano. Valgono per corpi idrici superficiali (laghi, fiumi, acque di transizione, acque marine costiere distanti 1 miglio dalla costa) e in corpi idrici sotterranei.


Fermando le trivelle perdiamo una risorsa preziosa?

Le ragioni del sì
Dopo il rilascio della concessione gli idrocarburi diventano proprietà di chi li estrae. Per le attività in mare la società petrolifera è tenuta a versare alle casse dello Stato il 7% del valore del petrolio e il 10% di quello del gas. Dunque: il 90-93% degli idrocarburi estratti può essere portato via e venduto altrove. Inoltre le società petrolifere godono di un sistema di agevolazioni e incentivi fiscali tra i più favorevoli al mondo. I posti di lavoro immediatamente a rischio (calo del turismo, diminuzione dell'appeal della bellezza del paese) sono molti di più di quelli che nel corso dei prossimi decenni si perderebbero man mano che scadono le licenze.

Le ragioni del no
L'industria del petrolio e del gas è solida. Il contributo versato alle casse dello Stato è rilevante: 800 milioni di tasse, 400 di royalties e concessioni. Le attività legate all'estrazione danno lavoro diretto a più di 10.000 persone.


Non fermando le trivelle perdiamo una risorsa preziosa?

Le ragioni del sì
Sì, perché le trivelle mettono a rischio la vera ricchezza del Paese: il turismo, che contribuisce ogni anno a circa il 10% del Pil nazionale, dà lavoro a quasi 3 milioni di persone, per un fatturato di 160 miliardi di euro; la pesca, che produce il 2,5% del Pil e dà lavoro a quasi 350.000 persone; il patrimonio culturale, che vale il 5,4% del Pil e dà lavoro a 1 milione e 400.000 persone.

Le ragioni del no
L'attività estrattiva del gas metano non danneggia in alcun modo il turismo e le altre attività. Il 50% del gas viene dalle piattaforme che si trovano nell'alto Adriatico; nessuna delle numerose località balneari e artistiche, a cominciare dalla splendida Ravenna, ha lamentato danni.


Insistere sulle trivelle è compatibile con gli impegni a difesa del clima?

Le ragioni del sì
Alla conferenza sul clima di Parigi 194 Paesi si sono impegnati a mantenere l'aumento della temperatura globale al di sotto dei 2 gradi. Per raggiungere questo obiettivo è indispensabile un taglio radicale e rapido dell'uso dei combustibili fossili. Per mettere il mondo al riparo dalla crescita di disastri meteo come alluvioni, uragani e siccità prolungate, due terzi delle riserve di combustibili fossili dovranno restare sotto terra. In questo quadro investire sul petrolio potrebbe rivelarsi un azzardo economico.

Le ragioni del no
Il futuro sarà delle rinnovabili, ma vanno integrate perché la loro affidabilità è limitata. Sole, acqua e vento non sono elementi che possiamo "gestire" a nostro piacimento. Non siamo pertanto in grado di prevedere quanta energia elettrica sarà, in un dato periodo, prodotta dal fotovoltaico, dall'eolico o dalle centrali idroelettriche. E quindi, senza i combustibili fossili, non possiamo programmare liberamente i nostri consumi, come siamo abituati e talvolta obbligati a fare.


I referendum servono?

Le ragioni del sì
"Si deve comunque andare a votare - afferma il presidente della Camera Laura Boldrini - perché il referendum é un esercizio importante di democrazia, tanto più quando i cittadini sono chiamati ad esprimersi senza filtri. Il mio è un invito al voto. Dopodiché ognuno vota come ritiene più opportuno".

Le ragioni del no
Diciamo agli italiani: "Non andate a votare, non tirate la volata a chi vuole soltanto distruggere".


E quanto costano?

Le ragioni del sì
Il mancato abbinamento alle imminenti elezioni amministrative, deciso per rendere più difficile il raggiungimento del quorum, ha comportato uno spreco di oltre
360 milioni - l'equivalente degli introiti annuali dalle royalties dalle trivellazioni attualmente presenti nel Paese.

Le ragioni del no
Questo referendum non ha senso e non si doveva fare: è uno spreco di 400 milioni.

powerdegre
21st March 2016, 12:19
Mi raccomando, fate come col nucleare :sneer:

Razj
21st March 2016, 12:40
che poi c'è già un divieto di nuove concessioni; il referendum è relativo solo al rinnovo di quelle già esistenti.

abbiamo una risorsa che è gia in uso, smettere di utilizzarla solo perché dopo 30 anni si inventano la tutela dell'ambiente senza fornire ai cittadini una seria analisi cost-benefits che ovviamente tenga in considerazione anche i costi opportunità diretti ed "indiretti" è semplicemente ridicolo ed uno spreco di soldi pubblici. Senza contare la possibilità di altri paesi che potrebbero riuscire a sfruttare quella risorsa con trivellazione obliqua (questo l'ho letto in giro e potrebbe essere una cazzata, non mi sono documentato a fondo).

se poi vogliamo, ci si può anche soffermare a discutere di quanto la gente sia cogliona e siano sempre tutti pronti a difendere l'ambiente mentre sottoscrivono la petizione dall'iphone nuovo, e vanno a votare SI al referendum abrogativo in automobile, e si lamentano del costo dell'energia elettrica o della monnezza in strada. Sostanzialmente se si dovesse dar seguito a tutte le proposte degli ambientalisti torneremmo in un paio di anni all'età della pietra, però nessuno si sofferma mai a pensarci.

finalyoko hellslayer
21st March 2016, 12:40
Secondo me è una "stronzata pazzesca"

Dryden
21st March 2016, 12:49
E' un enorme spreco di soldi, che ci voleva ad accorparlo con le elezioni comunali/amministrative che ci saranno tra un pò?

Per il resto, non ho abbastanza info per valutare attentamente, ma sul fatto che un privato trivelli in mezzo al "nostro" mare e ci si arricchisca pagando 2 spicci di tasse è una di quelle cose che non mi fa tanta simpatia.

Glorifindel
21st March 2016, 12:50
Per correttezza, durante Pasqua mi leggerò esattamente cosa dice il testo che vogliono abrogare, ma non sono molto propenso a votare se le cose stanno come dicono nei vari talk.

Per il resto, dato l'argomento, voglio il parere di Shub :look:

Hador
21st March 2016, 13:14
Secondo me è una "stronzata pazzesca"
this.
tra le argomentazioni più assurde sentite poi è "fanno male al turismo". Ora, una piattaforma in lontananza nel mare fa male al turismo, mentre siti industriali grandi come intere città van benissimo.
Se c'è un problema di inquinamento deve essere risolto rispetto a tutte le piattaforme, non solo quelle dentro le 12 miglia, ma non c'entra un cazzo col rinnovo delle licenze.

innaig86
21st March 2016, 13:32
Ma quindi non è stato fatto anche per mettere i bastoni tra le ruote alle nuove concessioni entro le 12 miglia, tipo alle Tremiti?

La domanda del referendum è un po' ambigua in tal senso, quando parla di "giacimenti in attività" può pure intendere quelli per cui son state fatte solo operazioni esplorative?

Hador
21st March 2016, 13:35
Ma quindi non è stato fatto anche per mettere i bastoni tra le ruote alle nuove concessioni entro le 12 miglia, tipo alle Tremiti?

La domanda del referendum è un po' ambigua in tal senso, quando parla di "giacimenti in attività" può pure intendere quelli per cui son state fatte solo operazioni esplorative?le concessioni entro le 12 miglia sono vietate, non c'è nessuna apertura in tal senso. Si era discusso al più di dare permessi per fare delle rilevazioni, mica per mettere delle piattaforme.

innaig86
21st March 2016, 13:38
le concessioni entro le 12 miglia sono vietate, non c'è nessuna apertura in tal senso. Si era discusso al più di dare permessi per fare delle rilevazioni, mica per mettere delle piattaforme.

Vabbé, sappiamo tutti che vuol dire "fare delle rilevazioni".
Come il "censimento" per i pescatori sportivi in mare. Dopo 3 mesi c'era la proposta per la tassa annuale anche per loro. Ma la prima mossa è stata quella del censimento "giusto per capire i numeri". :nod:

edit: tra l'altro sto leggendo ora che in questo caso era stato autorizzato anche l'uso dell'air gun

Un atto con il quale si sarebbe consentito nei fondali delle Tremiti di utilizzare la tecnica dell’Air-gun “che avrebbe devastato la biodiversità marina in un’area tra le più belle d’Italia e non solo” commenta Bonelli.

http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Isole-Tremiti-ok-alle-trivelle-Autorizzate-dal-ministero-per-meno-di-2000-euro-anno-08e9f560-d2c5-4f4a-ad84-34c0a03cb307.html?refresh_ce

Axet
21st March 2016, 13:52
Ma più che altro, come cazzo fa un referendum a costare 400 milioni?

finalyoko hellslayer
21st March 2016, 13:52
L'unica cosa forse sensata ma non credo ancora appurata e riguardo i terremoti... Ricordo che avevano fatto studi e c'era una connessione tra terremoti e trivellazioni.... Io parlo da Emiliano e quando ci fu il terremoto qua le trivellazioni futuro una delle cause a cui era stata data la colpa

Inviato dal mio ASUS_Z00AD utilizzando Tapatalk

innaig86
21st March 2016, 13:57
L'unica cosa forse sensata ma non credo ancora appurata e riguardo i terremoti... Ricordo che avevano fatto studi e c'era una connessione tra terremoti e trivellazioni.... Io parlo da Emiliano e quando ci fu il terremoto qua le trivellazioni futuro una delle cause a cui era stata data la colpa

Inviato dal mio ASUS_Z00AD utilizzando Tapatalk

Io sapevo che l'air gun era sospettato anche di mandare in confusione gli animali marini, in particolare i mammiferi con conseguente rischio di spiaggiamento di massa. Ma credo di andare ot con questo discorso.
La mia domanda originale era: questo referendum coinvolge anche queste "nuove" concessioni/esplorazioni? Io l'ho sempre inteso in questo modo, ma forse è stata solo una casualità temporale.

Bortas
21st March 2016, 14:05
Secondo me e lo dico come parere personale, questo referendum è troppo tecnico per il cittadino normale, ci si è fatta molta demagogia dietro, specialmente tra gli ambientalisti, ma dubito che il cittadino sappia a fondo di cosa si tratti, già io leggendomi quasi tutto quello che è circolato non sono riuscito a farmi un idea precisa. L'ideale sarebbe non raggiungere il quorum ma mantenere vivo l'argomento quindi lasciare le decisioni ad una commissione tecnica seria.
"è anche vero che siamo in Italia" e se facciamo decidere ad una massaia se usare le trivelle di estrazione in un modo, siamo anche capaci di fare commissioni tecniche interamente composte da mafiosi o gente che venderebbe sua madre per 2 spicci, come di solito succede.

Hador
21st March 2016, 15:05
L'unica cosa forse sensata ma non credo ancora appurata e riguardo i terremoti... Ricordo che avevano fatto studi e c'era una connessione tra terremoti e trivellazioni.... Io parlo da Emiliano e quando ci fu il terremoto qua le trivellazioni futuro una delle cause a cui era stata data la colpa

Inviato dal mio ASUS_Z00AD utilizzando Tapatalk
una delle cause a cui era stata data la colpa da quelli con la stagnola in testa.
Tra l'altro mi fa spaccare, al secolo il fatto quotidiano mise il quote in inglese del rapporto come motivazione di scandalo. La citazione era la seguente: “It is therefore concluded that the seismic process that began before May 20th, 2012 and continued with the sequence of earthquakes in May-June 2012 is statistically correlated with increases in production and injection in the Cavone oil field”. Rapporto della Commissione Ichese, pagina 176, 2013

Continuo a sostenere che sta gente dovrebbe esser picchiata con dei tomi di statistica.

Mellen
21st March 2016, 15:44
Secondo me e lo dico come parere personale, questo referendum è troppo tecnico per il cittadino normale, ci si è fatta molta demagogia dietro, specialmente tra gli ambientalisti, ma dubito che il cittadino sappia a fondo di cosa si tratti, già io leggendomi quasi tutto quello che è circolato non sono riuscito a farmi un idea precisa. L'ideale sarebbe non raggiungere il quorum ma mantenere vivo l'argomento quindi lasciare le decisioni ad una commissione tecnica seria.
"è anche vero che siamo in Italia" e se facciamo decidere ad una massaia se usare le trivelle di estrazione in un modo, siamo anche capaci di fare commissioni tecniche interamente composte da mafiosi o gente che venderebbe sua madre per 2 spicci, come di solito succede.

mio primo pensiero.
considerando che continuo a ritenere fondamentale che debba essere fatto un test per dare il diritto di voto..

forse andrò cmq a votare per tornare a casa colò 50% di sconto

Glorifindel
11th April 2016, 15:47
Domanda: ma se la legge resta com'è, le compagnie possono continuare a trivellare anche dopo la scadenza della concessione anche senza pagare una mazza/rinnovare la concessione?

A me non è tanto l'aspetto ambientale che preoccupa (se c'è da finire il giacimento si finisce e amen), quanto l'aspetto economico. Non vorrei che, scadute le concessioni per estrarre, per legge gli è consentito ciucciare petrolio a babbo morto. Allora sì che avremmo il danno (ambientale) e la beffa (economica).

Dryden
11th April 2016, 16:45
Non credo visto che il referendum verte proprio sul non rinnovo delle licenze per fermare le trivellazioni, quindi se non si rinnovano devono stopparle.
Ma siamo in Italia..............neanche Dio lo sa come la rigirano.

Il Nando
11th April 2016, 17:43
Lo spiega bene sul post: il referendum riguarda le concessioni per trivellare entro le 12 miglia già in essere, visto che per legge non se ne possono dare di nuove. Per le concessioni attualmente attive, entro 12 miglia, è previsto un meccanismo di rinnovi che alla fin fine da la possibilità di trivellare fino all'esaurimento del giacimento.

Votando SI' di fatto si vieta il rinnovo, con conseguente chiusura di tutte le piattaforme (alcune subito, altre entro 15 anni)

Io mi sa che voto SI', non ho la pretesa di comprendere appieno le implicazioni, la rava e la fava, ma mi sono scassato il cazzo di questa industrializzazione senza criterio pronta a calpestare interi quartieri e migliaia di persone in nome del profitto presentato come progresso.

Ancora mi ricordo da piccolo quando c'era la colata dell'italsider e la luce dell'altoforno si vedeva per mezzo ponente genovese, un romantico tramonto omaggio alle 2 del mattino con una folata di vento caldo anche in pieno inverno.
Per fare quel complesso hanno stuprato un quartiere residenziale di pregio, trasformandolo in un ghetto, hanno buttato nell'atmosfera e nel mare chissa quante e quali porcherie. Cioè i miei genitori negli anni '60 ci andavano al mare d'estate a cornigliano, adesso pare uno screenshot di fallout.

Da tempo ormai l'ilva è nella merda, lo stabilimento nn fa colate da anni, parte dell complesso è stato riqualificato in uno scintillante complesso commerciale, affacciato su acque verdi uni-posca e circondato da quartieri che sembrano teletrasportati dalla bielorussia.

Sto referendum non servirà a una sega, le stesse regioni che l'hanno proposto lo descrivono più come un "messaggio" al governo sulla politica dei carburanti fossili. Beh messaggio per messaggio nel mio piccolo gli scrivo un sì che sta per "avete rotto il cazzo".

Mellen
11th April 2016, 18:12
Domanda: ma se la legge resta com'è, le compagnie possono continuare a trivellare anche dopo la scadenza della concessione anche senza pagare una mazza/rinnovare la concessione?

A me non è tanto l'aspetto ambientale che preoccupa (se c'è da finire il giacimento si finisce e amen), quanto l'aspetto economico. Non vorrei che, scadute le concessioni per estrarre, per legge gli è consentito ciucciare petrolio a babbo morto. Allora sì che avremmo il danno (ambientale) e la beffa (economica).


come ha detto Nando, il post lo spiega bene.


Le leggi prevedono che le concessioni abbiano una durata iniziale di trent’anni, prorogabile una prima volta per altri dieci, una seconda volta per cinque e una terza volta per altri cinque; al termine della concessione, le aziende possono chiedere di prorogare la concessione fino all’esaurimento del giacimento.





Lo spiega bene sul post: il referendum riguarda le concessioni per trivellare entro le 12 miglia già in essere, visto che per legge non se ne possono dare di nuove. Per le concessioni attualmente attive, entro 12 miglia, è previsto un meccanismo di rinnovi che alla fin fine da la possibilità di trivellare fino all'esaurimento del giacimento.

Votando SI' di fatto si vieta il rinnovo, con conseguente chiusura di tutte le piattaforme (alcune subito, altre entro 15 anni)

Io mi sa che voto SI', non ho la pretesa di comprendere appieno le implicazioni, la rava e la fava, ma mi sono scassato il cazzo di questa industrializzazione senza criterio pronta a calpestare interi quartieri e migliaia di persone in nome del profitto presentato come progresso.

Ancora mi ricordo da piccolo quando c'era la colata dell'italsider e la luce dell'altoforno si vedeva per mezzo ponente genovese, un romantico tramonto omaggio alle 2 del mattino con una folata di vento caldo anche in pieno inverno.
Per fare quel complesso hanno stuprato un quartiere residenziale di pregio, trasformandolo in un ghetto, hanno buttato nell'atmosfera e nel mare chissa quante e quali porcherie. Cioè i miei genitori negli anni '60 ci andavano al mare d'estate a cornigliano, adesso pare uno screenshot di fallout.

Da tempo ormai l'ilva è nella merda, lo stabilimento nn fa colate da anni, parte dell complesso è stato riqualificato in uno scintillante complesso commerciale, affacciato su acque verdi uni-posca e circondato da quartieri che sembrano teletrasportati dalla bielorussia.

Sto referendum non servirà a una sega, le stesse regioni che l'hanno proposto lo descrivono più come un "messaggio" al governo sulla politica dei carburanti fossili. Beh messaggio per messaggio nel mio piccolo gli scrivo un sì che sta per "avete rotto il cazzo".

per il tuo ragionamento, dovresti non votare o votare no, visto che in caso dovessero chiudere quelle piattaforme (una ventina ricordiamo), sarà assai probabile che verranno chieste concessioni (e quasi sicuramente accettate) per nuove trivelle oltre i 12km per sopperire alla mancanza delle chiuse.
Inoltre dubito che cambierà chissà quanto il "paesaggio" se vengono chiuse

Glorifindel
11th April 2016, 18:22
Capito, quindi se resta com'è devono comunque rinnovare la concessione una volta scaduta e poi possono finire il giacimento.

Sarebbe stato forse più sensato raddoppiargli i costi di rinnovo per investire i fondi extra sul passaggio alle rinnovabili intanto. :look: ma qualcosa mi dice che i fondi si fermerebbero per strada... nelle tasche di qualcuno :nod:

Mellen
12th April 2016, 21:44
http://www.internazionale.it/opinione/marina-forti/2016/04/12/dubbi-risposte-referendum-trivelle


Sei risposte ai dubbi sulle trivelle
Marina Forti, giornalista

Il referendum del 17 aprile riguarda l’estrazione di idrocarburi offshore entro le 12 miglia nautiche dalla costa. Dunque riguarda il futuro di 88 piattaforme oggi esistenti entro le 12 miglia, che fanno capo a 31 concessioni a “coltivare” (la coltivazione indica la zona dove una compagnia ha il permesso di estrarre gas o petrolio), oltre a quattro piattaforme relative a permessi di ricerca ora sospesi. Sono in buona parte nell’Adriatico, un po’ nello Ionio e nel mare di Sicilia, come si vede da questa mappa interattiva.

In questione c’è la durata delle concessioni. Il quesito infatti chiede di abrogare la norma, introdotta nella legge di stabilità entrata in vigore il 1 gennaio 2016, che permette di estendere una concessione “per la durata di vita utile del giacimento”, cioè per un tempo indefinito. Se vincerà il sì quella frase sarà cancellata. In tal caso torneremo semplicemente a quanto previsto in precedenza dalla normativa italiana e comunitaria: tutte le concessioni per lo sfruttamento di idrocarburi o di risorse minerarie, a terra o in mare, hanno durata di trent’anni, con possibilità di proroghe per altri complessivi venti.

In altre parole, sarà cancellata un’anomalia. In effetti è insolito che una risorsa dello stato, cioè pubblica, sia data in concessione senza limiti di tempo prestabiliti (ed è per questo che la corte costituzionale ha giudicato ammissibile il quesito). Tra l’altro, è un privilegio accordato alle sole concessioni entro la fascia di 12 miglia, non a quelle a terra o in mare più aperto.

Dunque, se vince il sì le piattaforme oggi in attività continueranno a lavorare fino alla scadenza della concessione (o dell’eventuale proroga già ottenuta), ma non oltre. Certo, in gioco c’è molto di di più. I sostenitori del sì rimandano alla politica energetica del paese, parlano di energie rinnovabili, di investimenti in efficienza energetica. Ma sono accusati di mettere a repentaglio attività economiche e posti di lavoro.

Il referendum è inutile?

Chi si oppone alla consultazione ricorda che la legge di stabilità 2016 ha già bloccato il rilascio di nuovi titoli (permessi) per estrarre idrocarburi entro le 12 miglia. La durata della concessione però non è irrilevante, e ha risvolti molto pratici. Infatti, il blocco di nuove concessioni non impedisce che all’interno di concessioni già esistenti siano perforati nuovi pozzi e costruite nuove piattaforme, se previsto dal programma di lavoro. Potrebbe essere il caso della concessione Vega, nel mar di Sicilia, dove l’Eni progetta da tempo una nuova piattaforma (Vega B) da aggiungere a quella oggi in esercizio (la concessione scade nel 2022).

Ancora più importante: prolungando la durata della concessione si rinvia il momento in cui le piattaforme obsolete vanno smantellate e rimosse. È un’operazione costosa che da contratto spetta alle aziende concessionarie insieme al ripristino ambientale, quindi la spesa dovrebbe essere già inclusa nei bilanci. “Sospetto che le compagnie petrolifere puntino anche a questo, a rinviare in modo indefinito il momento in cui dovranno smantellare piattaforme obsolete”, dice Alessandro Giannì, direttore delle campagne di Greenpeace Italia.

Se vince il sì chiuderanno piattaforme operative e perderemo posti di lavoro?

È una delle obiezioni di chi è contrario al referendum. Ma si può confutare. Primo, la vittoria del sì non significa la chiusura immediata di tutte le attività in corso: le concessioni oggi attive scadranno tra il 2017 e il 2034. Il referendum poi non mette in questione le attività di manutenzione né, ovviamente, quelle di smantellamento e ripristino ambientale.

Quanto ai posti di lavoro, i numeri sono incerti. Assomineraria, l’associazione delle industrie del settore, parla di 13mila persone; la Filctem, la federazione dei lavoratori chimici della Cgil, parla di circa diecimila addetti solo a Gela e Ravenna. L’Isfol, ente pubblico di ricerca sul lavoro, parla di novemila occupati in tutto il settore (mare e terra).

Quanti di questi posti siano legati alle piattaforme entro le 12 miglia è opinabile. Il sindacato dei metalmeccanici Fiom Cgil afferma che sono meno di cento. “Considerando l’indotto, arriviamo a una stima massima di circa tremila persone”, dice Giorgio Zampetti, esperto di questioni petrolifere per Legambiente.

Una cosa certa è che le attività sulle piattaforme non sono labour intensive (cioè basate soprattutto sulla forza lavoro). Per lo più sono manovrate in remoto: gli addetti lavorano soprattutto nella fase di trivellazione, ma intervengono ben poco nella produzione (darebbe lavoro, casomai, smantellare i vecchi impianti). Gli attivisti di Greenpeace sono rimasti sorpresi, l’anno scorso, quando sono riusciti ad avvicinarsi alla piattaforma Prezioso, di fronte a Gela nel mar di Sicilia, l’hanno scalata e vi hanno appeso un gigantesco striscione, senza trovare ostacoli né risposta: il fatto è che non c’era proprio nessuno.

Quanto petrolio e quanto gas contengono i fondali italiani?

Non poi tanto. La produzione delle piattaforme attive entro le 12 miglia nel 2015 è stata di 542.881 tonnellate di petrolio e 1,84 miliardi di smc (standard metro cubo) di gas. In questi giorni circolano molti dati, ma attenzione a non fare confusione. L’intera produzione italiana, a terra e in mare, arriva a circa sette miliardi di smc di gas e 5,5 milioni di tonnellate di olio greggio, secondo l’ufficio per gli idrocarburi e le georisorse (Unmig) del ministero per lo sviluppo economico.

Però la produzione nella fascia protetta delle 12 miglia, oggetto del referendum, è una parte minore del totale. Se paragonata ai consumi, copre meno dell’1 per cento del fabbisogno nazionale di petrolio, e circa il 3 per cento del fabbisogno di gas. Insomma: rinunciare alla produzione entro le 12 miglia avrebbe un peso irrilevante sul bilancio energetico italiano.

Uno degli argomenti contro il referendum è che l’Italia, con una vittoria del sì, rinuncerebbe a una risorsa importante. Davvero? L’insieme delle riserve certe nei fondali italiani (entro e oltre le 12 miglia) ammonta a 7,6 milioni di tonnellate di petrolio, secondo le valutazioni del ministero dello sviluppo economico. Al ritmo attuale dei consumi, coprirebbero il fabbisogno nazionale per sole sette settimane. Sommando le riserve su terraferma si arriverebbe a 13 mesi. Quelle di gas arrivano a 53,7 miliardi di smc: neppure un anno di consumo italiano. In termini d’indipendenza energetica è ben poca cosa.

Intanto lo scenario dell’energia cambia. Negli ultimi dieci anni il consumo italiano di idrocarburi è calato, osserva Legambiente riprendendo dati del Mise. Oggi l’Italia consuma in un anno 67 miliardi di smc di gas, e 57 milioni di tonnellate di petrolio: rispettivamente il 21 e il 33 per cento in meno rispetto ai consumi di dieci anni fa. Invece, è aumentata la parte delle fonti rinnovabili, arrivate a coprire il 40 per cento dei consumi elettrici (nel 2005 era al 15,4) e il 16 per cento dei consumi energetici finali (nel 2005 eravamo al 5,3).

Gli idrocarburi portano ricchezza all’Italia?

Neppure questo è tanto vero. L’Italia impone royalty (la somma versata in cambio dello sfruttamento commerciale di un bene) tra le più basse al mondo, pari al 7 per cento del valore del petrolio estratto in mare e al 10 per cento del valore del petrolio estratto a terra e del gas (a terra o in mare). Le royalty e i canoni (sull’occupazione del terreno) pagati dalle aziende sono poi detratti dal reddito su cui le aziende verseranno le tasse. Nel 2015 l’insieme delle royalty pagate allo stato e agli enti locali ammontava a 351 milioni di euro. La royalty si calcola sul prezzo di vendita del petrolio o del gas, al netto di alcune deduzioni. Su ogni giacimento però c’è una franchigia: sono esenti da royalty le prime 50mila tonnellate di petrolio e i primi 80mila metri cubi di gas estratti offshore.

Il risultato è che molte piattaforme non pagano affatto. Secondo elaborazioni del Wwf sui dati del Mise, solo 18 concessioni in mare versano royalty, su un totale di 69 (entro e oltre le 12 miglia), ovvero appena il 21 per cento. Su 53 aziende estrattive, solo otto pagano royalty limitate e sono le più grandi (Eni, Shell, Edison, Gas Plus Italiana, Eni mediterranea idrocarburi, Società Ionica Gas, Società Padana Energia). A terra, solo 22 concessioni su 133 pagano royalty. È chiaro che alle aziende conviene prolungare la vita di pozzi che estraggono poco, perché restano sotto la franchigia.

Le piattaforme hanno avuto una valutazione d’impatto ambientale?

Che età hanno le piattaforme disseminate nei mari italiani? Anche questo punto ha risvolti molto pratici, nota l’ultimo studio pubblicato dal Wwf. Dai bollettini del ministero per lo sviluppo economico infatti risulta che 42 piattaforme (su 88) sono state costruite prima del 1986, quando è entrata in vigore la legge che istituisce le procedure di valutazione di impatto ambientale (Via). Tra queste, 26 appartengono all’Eni (o alle sue controllate), nove all’Edison e cinque all’Adriatica gas.

In altre parole, quasi metà delle piattaforme esistenti entro le 12 miglia non è mai stata sottoposta a una valutazione di impatto ambientale. Sembra impensabile, ma è così (il ministero dell’ambiente non ha nulla da obiettare?).

In generale, l’età media delle concessioni è piuttosto alta, 35 anni, e quasi la metà supera la quarantina. Su quel totale di 88 piattaforme, otto sono definite “non operative”, cioè non in produzione, e 31 (tutte a gas) sono “non eroganti” (cioè sono ferme per manutenzione o hanno cessato la produzione).

“Ci chiediamo perché le compagnie petrolifere tengano inattivi così tanti impianti”, dice Fabrizia Arduini, autrice di questo studio insieme a Stefano Lenzi. “Il ministero dello sviluppo economico dovrebbe esaminare la situazione, prima che questi relitti obsoleti collassino nei nostri mari”. Arduini cita il regolamento offshore sulla sicurezza, emanato dalla Commissione europea nel 2011 e poi diventato una direttiva: il regolamento “riconosce che il rischio di cedimenti strutturali dovuti al logorio degli impianti è uno dei principali fattori di rischio di incidente. Ed è chiaro che un incidente avrebbe conseguenze tanto più gravi se avvenisse vicino alla costa, cioè proprio nella fascia delle 12 miglia”.

Poi c’è il “normale” inquinamento. Il mese scorso Greenpeace ha ripreso i dati delle analisi compiute dall’Ispra (l’istituto di ricerca ambientale collegato al ministero dell’ambiente) su campioni di cozze raccolti intorno ad alcune piattaforme dell’Eni nell’Adriatico, dati mai resi pubblici: rivelano che i campioni contengono metalli pesanti e idrocarburi aromatici in quantità molto superiori ai limiti accettabili (quelle cozze sono normalmente messe in commercio, costituiscono il 5 per cento della produzione annuale della Romagna).

Ha senso continuare a puntare sulle energie fossili?

La decisione di bloccare ogni nuova attività estrattiva nei mari italiani entro le 12 miglia dalla costa risale al 2010: l’aveva deciso il governo Berlusconi sull’onda dell’allarme provocato dal disastro della Deepwater Horizon nel golfo del Messico (risale ad allora anche il regolamento europeo sulla sicurezza offshore). Due anni dopo il governo Monti ha riaperto la strada a nuove concessioni, e nel 2014 il governo Renzi ha addirittura definito l’estrazione di idrocarburi una “attività strategica”, quindi non vincolata al consenso delle regioni (che infatti hanno prima impugnato la norma, poi deciso di promuovere il referendum).

Ora le nuove concessioni sono bloccate, ma quelle in corso diventano “a tempo indeterminato”. Ma ha senso continuare a puntare sulle energie fossili? Molti, non solo gli ambientalisti, sono convinti che concentrarsi sulle energie rinnovabili e sull’efficienza energetica garantirebbe posti di lavoro, sviluppo, innovazione.
Italia