Triagon
22nd March 2006, 03:01
DA www.marcotravaglio.it
Citazione:
Termina qui la lotta al potere mafioso per questa generazione. Abbiamo ottenuto dei risultati: Sindona, i cugini Salvo, i cavalieri catanesi. Siamo stati sconfitti su tutto il resto. Queste vittorie parziali ci consentono tuttavia di guadagnare del tempo, di allontanare di qualche anno il pieno radicamento del sistema. L'esito finale è comunque, probabilmente, quello russo: marginalizzazione dei meccanismi democratici, istituzionalizzazione dei poteri di fatto, pubblica assunzione dei poteri da parte delle yakuza.
Cosi´ scriveva Riccardo Orioles il 25 ottobre 1999. La sua analisi resta valida ancora oggi. Non abbiamo piu´ Sindona, i Salvo, i Cavalieri catanesi. Ma restano Giuseppe Guttadauro e Marcello Dell´Utri, che ancora nel 1996 dichiarava "Io Vittorio Mangano lo frequenterei anche adesso". Dopo le stragi del 1992-93 abbiamo avuto la possibilita´ di voltare pagina, anche grazie ad un prezzo di sangue altissimo pagato da Uomini delle Istituzioni, sindacalisti, giornalisti, persone innocenti. Purtroppo le cose sono andate diversamente. Una buona parte della responsabilita´ ricade su una vigliacca classe politica che ha istituzionalizzato la mafia invece di combatterla. Il sistema ha ritrovato un punto di equilibrio auspicando addirittura la convivenza con Cosa Nostra. Forse la piu´ grande vergogna del primo Governo di centro-sinistra della storia repubblicana non e´ rappresentata dalla Bicamerale e dai suoi ricatti, bensi´ dal tradimento delle speranze nate dopo le stragi palermitane e dalla delega ad isolati eroi borghesi della lotta alla mafia, delega rilasciata in bianco eliminando progressivamente gli strumenti necessari per un´azione di contrasto efficace.
Il punto cruciale di questo processo e´ stato la TRATTATIVA fra Cosa Nostra e settori del mondo politico-istituzionale, trattativa che si e´ dispiegata tra il 1991 ed il 1994, proseguendo fino ai giorni nostri: ricatto, tritolo, diffamazione. Tutte le armi sono state usate sul campo.
Le prime riunioni dei vertici di Cosa Nostra per valutare una nuova strategia politica si tengono nella provincia di Enna sul finire del 1991. In quel periodo la Corte di Cassazione aveva affidato il MAXI-PROCESSO ad una sezione diversa da quella di Carnevale ed i vecchi referenti politici (in primis Salvo Lima) non sembravano piu´ in grado di condizionare l´esito finale del processo.
Dopo il 30 gennaio 1992, giorno in cui la Cassazione conferma in via definitiva le condanne del processo istruito da Caponnetto e dal pool di Palermo, Cosa Nostra dispiega tutta la sua violenza per sedersi al tavolo della trattativa da una posizione di forza: tra il marzo 1992 (omicidio di Salvo Lima) e l´aprile 1994 (fallito attentato a Totuccio Contorno) Cosa Nostra esegue una serie interminabile di stragi che condizionano in modo definitivo la vita democratica del paese. Il progetto politico di Forza Italia nasce ufficialmente nel giugno-luglio 1992. La Mafia valuta se investire le proprie energie in un progetto separatista della Sicilia dal contentinente oppure se appoggiare la nascente formazione berlusconiana. Alla fine propende per la seconda scelta, riconoscendosi in una parte dei programmi politici di quell´area politica.
Paolo Borsellino rappresentava un ostacolo insormontabile per il buon esito di questa trattativa. Lui correva troppo nel suo lavoro nei mesi seguenti alla strage di Capaci. Voleva fare presto perche´ sapeva di avere poco tempo a disposizione. La strage di via D´Amelio in cui hanno perso la vita Borsellino e cinque Uomini della sua scorta rimane una delle piu´ oscure nella storia di Cosa Nostra: ancora non si sa chi ha premuto il telecomando che ha azionato la bomba e da dove. A riguardo esistono delle ipotesi, ma manca ancora chiarezza sulle modalita´ esecutive della strage.
E´ stato peraltro accertato in via definitiva che per la strage per le stragi del 1992-93 esistono mandanti esterni a Cosa Nostra. Durante le indagini sono stati indagati anche Silvio Berlusconi e Marcello Dell´Utri, le cui posizioni sono state infine archiviate perche´ gli elementi raccolti a loro carico non erano sufficienti per una richiesta di rinvio a giudizio per il reato di concorso in strage. Cio´ nonostante sono stati accertati al di fuori di ogni dubbio rapporti tra i due indagati e gli autori delle stragi del biennio 1992-93. Al riguardo i documenti piu´ interessanti (con particolare attenzione alla strage di via D´Amelio) sono i seguenti:
1) Decreto di archiviazione del GIP di Firenze relativo all´inchiesta sui mandanti esterni della strage di via dei Georgofili (14/11/199 :
Nel decreto si legge fra l´altro che Berlusconi e Dell'Utri erano certamente in contatto con uomini di Cosa nostra. E hanno "intrattenuto rapporti non meramente episodici con i soggetti criminali cui è riferibile il programma stragista". Dunque l'ipotesi dell'accusa ha "mantenuto e semmai incrementato la sua plausibilità". Ciò nonostante, i magistrati di Firenze non hanno "potuto trovare *nel termine massimo di durata delle indagini preliminari la conferma delle chiamate de relato e delle intuizioni logiche", cioè non hanno la prova provata di quanto raccontato da una decina di mafiosi diventati collaboratori di giustizia.
2) Sentenza BORSELLINO TER, Corte di Assise di Caltanissetta (9/12/1999) (http://www.falconeborsellino.net/homenew.htm)
3) Decreto di Archiviazione del GIP di Caltanissetta sui mandanti esterni alla strage di via d´Amelio (3/5/2002) (http://www.sgmontopoli.it/varie/berlu/archiv/arch.html)
4) Sentenza BORSELLINO BIS, Corte di Assise di Caltanissetta (18/03/2002)
(http://www.movimentoperlagiustizia.it/modules.php?name=Downloads&d_op=getit&lid=20)
I mandanti esterni alle stragi del 1992-93 dunque non hanno ancora un volto, ma restano aperte le indagini al riguardo. Invece sono stati raggiunti dalla Magistratura risultati definitivi sui moventi della strage di Via D´Amelio e della sua accelerazione. Non dimentichiamo che Giovanni Brusca dovette interrompere il progetto di attentato a Calogero Mannino su ordine dello stesso Riina, il quale gia´ lavorava per l´attentato a Borsellino. Qualcosa fece spostare la priorita´ di Cosa Nostra sul Magistrato siciliano.
A riguardo la sentenza che delinea con chiarezza i moventi dell´accelerazione della strage e´ la BORSELLINO BIS, pronunciata dalla Corte di Assise di Caltanissetta il 18 marzo 2002, dove viene eplicitamente trattata l´intervista che Borsellino concesse ai giornalisti francesi Calvi e Moscardo pochi giorni prima della strage di Capaci (http://www.disinformazione.it/intervistaborsellino.htm). In tale intervista il Magistrato mette in relazione i nomi di Silvio Berlusconi e Marcello Dell´Utri con quello di Vittorio Mangano, potente boss mafioso della famiglia di Porta Nuova.
In particolare la sentenza del Borsellino-bis cita tre cause acceleranti dell’omicidio di Borsellino e della sua scorta:
1) L’intervista rilasciata il 21 maggio 1992 da Paolo Borsellino ai giornalisti francesi Fabrizio Calvi e Jean Pierre Moscardo, intervista in cui il magistrato descrive alcuni dei canali di riciclaggio della mafia al Nord Italia. In particolare Borsellino fa il nome di una testa di ponte dell’organizzazione al nord, Vittorio Mangano, ed afferma che presso il palazzo di giustizia di Palermo è aperta un’indagine con il vecchio rito istruttorio a carico dello stesso Mangano e dei fratelli Marcello ed Alberto Dell’Utri. Totò Riina poteva esser venuto a conoscenza di quest’iniziativa giudiziaria e poteva avervi visto una minaccia per gli interessi dell’organizzazione. Di conseguenza agiva per prevenire i danni che potevano derivare da un’attività investigativa che Borsellino avrebbe potuto svolgere in direzione degli scenari evidenziati nell’intervista.
2) La trattativa tra uomini dello Stato e Cosa Nostra alla quale Borsellino si opponeva dopo che ne era venuto a conoscenza.
3) L’annuncio pubblico, fatto circolare dopo il 28 maggio 1992, che Borsellino sarebbe diventato procuratore nazionale antimafia.
Riporto integralemente il testo della sentenza relativo all´intervista di Paolo Borsellino rilasciata a Calvi e Moscardo:
Citazione:
Nel faldone 15 allegato 7 degli atti processuali è l’articolo a firma dei giornalisti dell’Espresso Chiara Beria di Argentine e Gabriele Invernizzi dal titolo: “Ad Arcore c’era uno stalliere…”. Nel sopratitolo si legge “ Dell’Utri, Mangano e la mafia: che cosa sapeva Borsellino.” L’articolo riporta e commenta l’intervista filmata che Paolo Borsellino rilasciò il 21 maggio 1992 alla troupe francese del regista Jean Pierre Moscardo e del giornalista Fabrizio Calvi, che giravano un film inchiesta sugli affari della mafia. Allegato all’articolo il testo dell’intervista che trae spunto dalla presenza - fra le centinaia di imputati del primo maxiprocesso - di Vittorio Mangano. Il magistrato racconta la carriera criminale del Mangano, esponente della famiglia mafiosa di Porta Nuova, estortore e grande trafficante di stupefacenti ed espone quanto è a sua conoscenza e quanto ritiene di rivelare sui rapporti tra Mangano Dell’Utri e Berlusconi.
Nel corso dell’intervista il dr. Borsellino, pur mantenendosi cauto e prudente per non rivelare notizie coperte da segreto o riservate, consultando alcuni appunti in suo possesso, forniva indicazioni sulla conoscenza di Mangano con il Dell’Utri e sulla possibilità che il Mangano avesse operato, come testa di ponte della mafia a Milano in quel medesimo ambiente. Non è il caso di riportare altri passaggi, pure interessanti dell’intervista, poiché ai fini del ragionamento che stiamo svolgendo appare evidente come sia lo stesso Borsellino a fornire un riscontro alle dichiarazioni di Salvatore Cancemi, che abbiamo ampiamente riportato in precedenza, e che erano certamente antecedenti all’articolo pubblicato sull’Espresso mentre, per altro verso, l’intervista in originale non era stata pubblicata poiché il lavoro dei due giornalisti era ancora incompleto al momento della pubblicazione dell’articolo stesso. Ma, se così è, non è detto che i contenuti di quell’intervista non siano circolati tra i diversi interessati, che qualcuno non ne abbia informato Salvatore Riina e che questi ne abbia tratto autonomamente le dovute conseguenze, visto che, come abbiamo detto in precedenza, questa Corte ritiene, come Brusca e non come Cancemi, che il Riina possa aver tenuto presente nel decidere la strage gli interessi di persone che intendeva “garantire per ora e per il futuro “, senza per questo eseguire un loro ordine o prendere formali accordi o intese o dover mantenere promesse.
Alla fine di Maggio del 1992, dopo la strage di Capaci, Cosa nostra era in condizione di sapere che Paolo Borsellino aveva rilasciato una clamorosa intervista televisiva a dei giornalisti stranieri, nella quale faceva clamorose rivelazioni su possibili rapporti di Vittorio Mangano con Dell’Utri e Berlusconi, rapporti che avrebbero potuto nuocere fortemente sul piano dell’immagine, sul piano giudiziario e sul piano politico a quelle forze imprenditoriali e politiche alle quali fanno esplicito riferimento le dichiarazioni di Angelo Siino, sulle quali i capi di Cosa Nostra decisamente puntavano per ottenere quelle riforme amministrative e legislative che conducessero in ultima istanza ad un alleggerimento della pressione dello Stato sulla mafia e alla revisione della condanna nel maxi processo. Con quell’intervista Borsellino mostrava di conoscere determinate vicende; mostrava soprattutto di non avere alcuna ritrosia a parlare dei rapporti tra mafia e grande imprenditoria del nord, a considerare normale che le indagini dovessero volgere in quella direzione; non manifestava alcuna sudditanza psicologica ma anzi una chiara propensione ad agire con gli strumenti dell’investigazione penale senza rispetto per alcun santuario e senza timore del livello al quale potessero attingere le sue indagini, confermando la tesi degli intervistatori che la mafia era non solo crimine organizzato ma anche connessione e collegamenti con ambienti insospettabili dell’economia e della finanza.
Riina aveva tutte le ragioni di essere preoccupato per quell’intervento che poteva rovesciare i suoi progetti di lungo periodo, ai quali stava lavorando dal momento in cui aveva chiesto a Mangano di mettersi da parte perché intendeva gestire personalmente i rapporti con il gruppo milanese. E’ questo il primo argomento che spiega la fretta, l’urgenza e l’apparente intempestività della strage. Agire prima che in base agli enunciati e ai propositi impliciti di quell’intervista potesse prodursi un qualche irreversibile intervento di tipo giudiziario.
Pochissimi giornalisti hanno dato spazio a quanto detto a chiare lettere in questa sentenza. Fra questi voglio citare Marco Travaglio e Gianni Barbacetto. Molto polverone e´ stato alzato sull´intervista di Borsellino dopo l´intervento di Travaglio alla trasmissione SATYRICON di Luttazzi nel marzo 2001, ma quasi niente e´ stato detto sulle conclusioni della Magistratura al riguardo. Tali conclusioni parlano in modo netto, senza tanti giri di parole.
La sentenza di appello BORSELLINO BIS colloca dunque i moventi dell´accelerazione della strage di Via D´Amelio nei fatti accaduti nei mesi immediatamenti precedenti il 19 luglio 1992. Proprio per questo ho cercato di fare una mera ricostruzione cronologica della vita pubblica di Paolo Borsellino in quel lasso di tempo. Le fonti sono principalmente quotidiani dell´epoca. Scopo del mio lavoro era “non dimenticare”. Chi e´ interessato alla lettura, puo´ trovare il risultato di questa ricostruzione nel POST 23 maggio - 19 luglio 1992: 57 giorni (seconda parte).
Citazione:
Termina qui la lotta al potere mafioso per questa generazione. Abbiamo ottenuto dei risultati: Sindona, i cugini Salvo, i cavalieri catanesi. Siamo stati sconfitti su tutto il resto. Queste vittorie parziali ci consentono tuttavia di guadagnare del tempo, di allontanare di qualche anno il pieno radicamento del sistema. L'esito finale è comunque, probabilmente, quello russo: marginalizzazione dei meccanismi democratici, istituzionalizzazione dei poteri di fatto, pubblica assunzione dei poteri da parte delle yakuza.
Cosi´ scriveva Riccardo Orioles il 25 ottobre 1999. La sua analisi resta valida ancora oggi. Non abbiamo piu´ Sindona, i Salvo, i Cavalieri catanesi. Ma restano Giuseppe Guttadauro e Marcello Dell´Utri, che ancora nel 1996 dichiarava "Io Vittorio Mangano lo frequenterei anche adesso". Dopo le stragi del 1992-93 abbiamo avuto la possibilita´ di voltare pagina, anche grazie ad un prezzo di sangue altissimo pagato da Uomini delle Istituzioni, sindacalisti, giornalisti, persone innocenti. Purtroppo le cose sono andate diversamente. Una buona parte della responsabilita´ ricade su una vigliacca classe politica che ha istituzionalizzato la mafia invece di combatterla. Il sistema ha ritrovato un punto di equilibrio auspicando addirittura la convivenza con Cosa Nostra. Forse la piu´ grande vergogna del primo Governo di centro-sinistra della storia repubblicana non e´ rappresentata dalla Bicamerale e dai suoi ricatti, bensi´ dal tradimento delle speranze nate dopo le stragi palermitane e dalla delega ad isolati eroi borghesi della lotta alla mafia, delega rilasciata in bianco eliminando progressivamente gli strumenti necessari per un´azione di contrasto efficace.
Il punto cruciale di questo processo e´ stato la TRATTATIVA fra Cosa Nostra e settori del mondo politico-istituzionale, trattativa che si e´ dispiegata tra il 1991 ed il 1994, proseguendo fino ai giorni nostri: ricatto, tritolo, diffamazione. Tutte le armi sono state usate sul campo.
Le prime riunioni dei vertici di Cosa Nostra per valutare una nuova strategia politica si tengono nella provincia di Enna sul finire del 1991. In quel periodo la Corte di Cassazione aveva affidato il MAXI-PROCESSO ad una sezione diversa da quella di Carnevale ed i vecchi referenti politici (in primis Salvo Lima) non sembravano piu´ in grado di condizionare l´esito finale del processo.
Dopo il 30 gennaio 1992, giorno in cui la Cassazione conferma in via definitiva le condanne del processo istruito da Caponnetto e dal pool di Palermo, Cosa Nostra dispiega tutta la sua violenza per sedersi al tavolo della trattativa da una posizione di forza: tra il marzo 1992 (omicidio di Salvo Lima) e l´aprile 1994 (fallito attentato a Totuccio Contorno) Cosa Nostra esegue una serie interminabile di stragi che condizionano in modo definitivo la vita democratica del paese. Il progetto politico di Forza Italia nasce ufficialmente nel giugno-luglio 1992. La Mafia valuta se investire le proprie energie in un progetto separatista della Sicilia dal contentinente oppure se appoggiare la nascente formazione berlusconiana. Alla fine propende per la seconda scelta, riconoscendosi in una parte dei programmi politici di quell´area politica.
Paolo Borsellino rappresentava un ostacolo insormontabile per il buon esito di questa trattativa. Lui correva troppo nel suo lavoro nei mesi seguenti alla strage di Capaci. Voleva fare presto perche´ sapeva di avere poco tempo a disposizione. La strage di via D´Amelio in cui hanno perso la vita Borsellino e cinque Uomini della sua scorta rimane una delle piu´ oscure nella storia di Cosa Nostra: ancora non si sa chi ha premuto il telecomando che ha azionato la bomba e da dove. A riguardo esistono delle ipotesi, ma manca ancora chiarezza sulle modalita´ esecutive della strage.
E´ stato peraltro accertato in via definitiva che per la strage per le stragi del 1992-93 esistono mandanti esterni a Cosa Nostra. Durante le indagini sono stati indagati anche Silvio Berlusconi e Marcello Dell´Utri, le cui posizioni sono state infine archiviate perche´ gli elementi raccolti a loro carico non erano sufficienti per una richiesta di rinvio a giudizio per il reato di concorso in strage. Cio´ nonostante sono stati accertati al di fuori di ogni dubbio rapporti tra i due indagati e gli autori delle stragi del biennio 1992-93. Al riguardo i documenti piu´ interessanti (con particolare attenzione alla strage di via D´Amelio) sono i seguenti:
1) Decreto di archiviazione del GIP di Firenze relativo all´inchiesta sui mandanti esterni della strage di via dei Georgofili (14/11/199 :
Nel decreto si legge fra l´altro che Berlusconi e Dell'Utri erano certamente in contatto con uomini di Cosa nostra. E hanno "intrattenuto rapporti non meramente episodici con i soggetti criminali cui è riferibile il programma stragista". Dunque l'ipotesi dell'accusa ha "mantenuto e semmai incrementato la sua plausibilità". Ciò nonostante, i magistrati di Firenze non hanno "potuto trovare *nel termine massimo di durata delle indagini preliminari la conferma delle chiamate de relato e delle intuizioni logiche", cioè non hanno la prova provata di quanto raccontato da una decina di mafiosi diventati collaboratori di giustizia.
2) Sentenza BORSELLINO TER, Corte di Assise di Caltanissetta (9/12/1999) (http://www.falconeborsellino.net/homenew.htm)
3) Decreto di Archiviazione del GIP di Caltanissetta sui mandanti esterni alla strage di via d´Amelio (3/5/2002) (http://www.sgmontopoli.it/varie/berlu/archiv/arch.html)
4) Sentenza BORSELLINO BIS, Corte di Assise di Caltanissetta (18/03/2002)
(http://www.movimentoperlagiustizia.it/modules.php?name=Downloads&d_op=getit&lid=20)
I mandanti esterni alle stragi del 1992-93 dunque non hanno ancora un volto, ma restano aperte le indagini al riguardo. Invece sono stati raggiunti dalla Magistratura risultati definitivi sui moventi della strage di Via D´Amelio e della sua accelerazione. Non dimentichiamo che Giovanni Brusca dovette interrompere il progetto di attentato a Calogero Mannino su ordine dello stesso Riina, il quale gia´ lavorava per l´attentato a Borsellino. Qualcosa fece spostare la priorita´ di Cosa Nostra sul Magistrato siciliano.
A riguardo la sentenza che delinea con chiarezza i moventi dell´accelerazione della strage e´ la BORSELLINO BIS, pronunciata dalla Corte di Assise di Caltanissetta il 18 marzo 2002, dove viene eplicitamente trattata l´intervista che Borsellino concesse ai giornalisti francesi Calvi e Moscardo pochi giorni prima della strage di Capaci (http://www.disinformazione.it/intervistaborsellino.htm). In tale intervista il Magistrato mette in relazione i nomi di Silvio Berlusconi e Marcello Dell´Utri con quello di Vittorio Mangano, potente boss mafioso della famiglia di Porta Nuova.
In particolare la sentenza del Borsellino-bis cita tre cause acceleranti dell’omicidio di Borsellino e della sua scorta:
1) L’intervista rilasciata il 21 maggio 1992 da Paolo Borsellino ai giornalisti francesi Fabrizio Calvi e Jean Pierre Moscardo, intervista in cui il magistrato descrive alcuni dei canali di riciclaggio della mafia al Nord Italia. In particolare Borsellino fa il nome di una testa di ponte dell’organizzazione al nord, Vittorio Mangano, ed afferma che presso il palazzo di giustizia di Palermo è aperta un’indagine con il vecchio rito istruttorio a carico dello stesso Mangano e dei fratelli Marcello ed Alberto Dell’Utri. Totò Riina poteva esser venuto a conoscenza di quest’iniziativa giudiziaria e poteva avervi visto una minaccia per gli interessi dell’organizzazione. Di conseguenza agiva per prevenire i danni che potevano derivare da un’attività investigativa che Borsellino avrebbe potuto svolgere in direzione degli scenari evidenziati nell’intervista.
2) La trattativa tra uomini dello Stato e Cosa Nostra alla quale Borsellino si opponeva dopo che ne era venuto a conoscenza.
3) L’annuncio pubblico, fatto circolare dopo il 28 maggio 1992, che Borsellino sarebbe diventato procuratore nazionale antimafia.
Riporto integralemente il testo della sentenza relativo all´intervista di Paolo Borsellino rilasciata a Calvi e Moscardo:
Citazione:
Nel faldone 15 allegato 7 degli atti processuali è l’articolo a firma dei giornalisti dell’Espresso Chiara Beria di Argentine e Gabriele Invernizzi dal titolo: “Ad Arcore c’era uno stalliere…”. Nel sopratitolo si legge “ Dell’Utri, Mangano e la mafia: che cosa sapeva Borsellino.” L’articolo riporta e commenta l’intervista filmata che Paolo Borsellino rilasciò il 21 maggio 1992 alla troupe francese del regista Jean Pierre Moscardo e del giornalista Fabrizio Calvi, che giravano un film inchiesta sugli affari della mafia. Allegato all’articolo il testo dell’intervista che trae spunto dalla presenza - fra le centinaia di imputati del primo maxiprocesso - di Vittorio Mangano. Il magistrato racconta la carriera criminale del Mangano, esponente della famiglia mafiosa di Porta Nuova, estortore e grande trafficante di stupefacenti ed espone quanto è a sua conoscenza e quanto ritiene di rivelare sui rapporti tra Mangano Dell’Utri e Berlusconi.
Nel corso dell’intervista il dr. Borsellino, pur mantenendosi cauto e prudente per non rivelare notizie coperte da segreto o riservate, consultando alcuni appunti in suo possesso, forniva indicazioni sulla conoscenza di Mangano con il Dell’Utri e sulla possibilità che il Mangano avesse operato, come testa di ponte della mafia a Milano in quel medesimo ambiente. Non è il caso di riportare altri passaggi, pure interessanti dell’intervista, poiché ai fini del ragionamento che stiamo svolgendo appare evidente come sia lo stesso Borsellino a fornire un riscontro alle dichiarazioni di Salvatore Cancemi, che abbiamo ampiamente riportato in precedenza, e che erano certamente antecedenti all’articolo pubblicato sull’Espresso mentre, per altro verso, l’intervista in originale non era stata pubblicata poiché il lavoro dei due giornalisti era ancora incompleto al momento della pubblicazione dell’articolo stesso. Ma, se così è, non è detto che i contenuti di quell’intervista non siano circolati tra i diversi interessati, che qualcuno non ne abbia informato Salvatore Riina e che questi ne abbia tratto autonomamente le dovute conseguenze, visto che, come abbiamo detto in precedenza, questa Corte ritiene, come Brusca e non come Cancemi, che il Riina possa aver tenuto presente nel decidere la strage gli interessi di persone che intendeva “garantire per ora e per il futuro “, senza per questo eseguire un loro ordine o prendere formali accordi o intese o dover mantenere promesse.
Alla fine di Maggio del 1992, dopo la strage di Capaci, Cosa nostra era in condizione di sapere che Paolo Borsellino aveva rilasciato una clamorosa intervista televisiva a dei giornalisti stranieri, nella quale faceva clamorose rivelazioni su possibili rapporti di Vittorio Mangano con Dell’Utri e Berlusconi, rapporti che avrebbero potuto nuocere fortemente sul piano dell’immagine, sul piano giudiziario e sul piano politico a quelle forze imprenditoriali e politiche alle quali fanno esplicito riferimento le dichiarazioni di Angelo Siino, sulle quali i capi di Cosa Nostra decisamente puntavano per ottenere quelle riforme amministrative e legislative che conducessero in ultima istanza ad un alleggerimento della pressione dello Stato sulla mafia e alla revisione della condanna nel maxi processo. Con quell’intervista Borsellino mostrava di conoscere determinate vicende; mostrava soprattutto di non avere alcuna ritrosia a parlare dei rapporti tra mafia e grande imprenditoria del nord, a considerare normale che le indagini dovessero volgere in quella direzione; non manifestava alcuna sudditanza psicologica ma anzi una chiara propensione ad agire con gli strumenti dell’investigazione penale senza rispetto per alcun santuario e senza timore del livello al quale potessero attingere le sue indagini, confermando la tesi degli intervistatori che la mafia era non solo crimine organizzato ma anche connessione e collegamenti con ambienti insospettabili dell’economia e della finanza.
Riina aveva tutte le ragioni di essere preoccupato per quell’intervento che poteva rovesciare i suoi progetti di lungo periodo, ai quali stava lavorando dal momento in cui aveva chiesto a Mangano di mettersi da parte perché intendeva gestire personalmente i rapporti con il gruppo milanese. E’ questo il primo argomento che spiega la fretta, l’urgenza e l’apparente intempestività della strage. Agire prima che in base agli enunciati e ai propositi impliciti di quell’intervista potesse prodursi un qualche irreversibile intervento di tipo giudiziario.
Pochissimi giornalisti hanno dato spazio a quanto detto a chiare lettere in questa sentenza. Fra questi voglio citare Marco Travaglio e Gianni Barbacetto. Molto polverone e´ stato alzato sull´intervista di Borsellino dopo l´intervento di Travaglio alla trasmissione SATYRICON di Luttazzi nel marzo 2001, ma quasi niente e´ stato detto sulle conclusioni della Magistratura al riguardo. Tali conclusioni parlano in modo netto, senza tanti giri di parole.
La sentenza di appello BORSELLINO BIS colloca dunque i moventi dell´accelerazione della strage di Via D´Amelio nei fatti accaduti nei mesi immediatamenti precedenti il 19 luglio 1992. Proprio per questo ho cercato di fare una mera ricostruzione cronologica della vita pubblica di Paolo Borsellino in quel lasso di tempo. Le fonti sono principalmente quotidiani dell´epoca. Scopo del mio lavoro era “non dimenticare”. Chi e´ interessato alla lettura, puo´ trovare il risultato di questa ricostruzione nel POST 23 maggio - 19 luglio 1992: 57 giorni (seconda parte).