Aramond
12th August 2006, 14:54
La trappola di Beirut
12/8/2006 di Avraham B. Yehoshua
QUESTA guerra non è scoppiata in seguito all'aggressione degli Hezbollah del 12 luglio, con il rapimento di due soldati israeliani e l'uccisione di altri otto in territorio israeliano. Quella era solo l'ultima provocazione di un gruppo guerrigliero che tiene un'intera, debole nazione in ostaggio, gode dei suoi favori e, pur non essendone soggetto all'autorità, è rappresentato nelle sue istituzioni.
Un gruppo che si trova sotto la protezione e la guida dell'Iran, il quale gli fornisce migliaia di missili a lunga gittata contro Israele. Iran e Hezbollah negano il diritto all'esistenza di Israele, ne invocano la distruzione e in un certo senso sono più estremisti di Hamas, che ultimamente ha espresso la volontà di riconoscere lo Stato di Israele entro i confini del 1967.
Per questo Israele ha deciso, e a ragione secondo noi, di intraprendere una vasta azione militare con tre giusti obiettivi. 1)Obbligare lo Stato libanese a mettere fine a un'ambigua situazione in cui, pur garantendo protezione a un gruppo militare armato, rifiuta di assumersi la responsabilità delle sue azioni. Obbligare quindi lo Stato libanese a estendere la propria sovranità su tutto il suo territorio e ad assumersi la piena responsabilità delle azioni di tutti i suoi cittadini.
2)Distruggere almeno una parte dei missili iraniani in mano a Hezbollah, colpire i suoi centri di comando e i suoi uomini per ridurre la possibilità che colpiscano a loro volta Israele. 3)Allontanare le forze di Hezbollah dal confine internazionale affinché non possano condurre facilmente provocazioni violente contro Israele, quali l'uccisione e il rapimento di soldati, come è successo il 12 luglio.
Tutte queste ragioni hanno portato me, David Grossman e Amos Oz a esprimerci chiaramente nei confronti delle critiche alla guerra di una parte (per quanto minima) della sinistra, oltre che, soprattutto, nei confronti delle aspre e crescenti critiche dei media internazionali. E questo nonostante per molti anni tutti e tre abbiamo militato, e continuiamo a militare, tra le file dei sostenitori della pace, a favore di una riconciliazione e di concessioni, e ci fossimo opposti fin dal primo giorno alla guerra del Libano nel 1982. Ora, nella seconda guerra del Libano, riteniamo che l'azione militare di Israele sia giusta in linea di principio e la sosteniamo, per quanto non in tutte le sue mosse. Nostra intenzione era anche respingere l'accusa che Israele uccide intenzionalmente civili, come fa Hezbollah.
Se Israele fosse veramente intenzionato a uccidere civili nei bombardamenti della sua aviazione, il numero delle vittime fra la popolazione libanese sarebbe infinitamente superiore a quello pubblicato ultimamente di mille morti, rispetto ai cento israeliani. Non dobbiamo inoltre dimenticare che gli Hezbollah nascondono le loro batterie di missili fra la popolazione civile del Sud del Libano.
Lo stretto legame tra sovranità, libertà e responsabilità nei confronti del proprio territorio e dei propri cittadini è sempre stata una questione problematica in Libano. E questo, purtroppo, è anche il problema cronico dell'Autorità palestinese. Molte nazioni arabe, fra cui alcune totalmente ostili a Israele, hanno interiorizzato questo principio e riescono a comportarsi in maniera ragionevole senza causare a se stesse tragedie quali quella libanese. Cosa direbbero per esempio i libanesi se annunciassimo loro che le operazioni dell'aviazione israeliana sono al di fuori del controllo del governo e della Knesset? Che la nostra aviazione agisce in modo indipendente e secondo una propria ideologia? Accetterebbero forse una simile spiegazione?
Ma questo non è l'unico problema, e certamente non il più importante, che intendevamo esporre nel nostro appello. L'appello era rivolto soprattutto al governo di Israele con la richiesta di non ampliare la guerra, nonostante il bombardamento di missili sui centri abitati del Nord e la tentazione di aggravare la devastazione dell'organizzazione di Hezbollah. L'ampliamento della guerra, la conquista di altri territori, non solo porterebbe a un notevole aumento delle perdite di civili e militari su entrambi i fronti, ma potrebbe trascinare nel conflitto anche la Siria e creare sacche di caos totale e pericoloso che richiamerebbero elementi radicali da Stati nemici, come accade ora in Iraq dopo l'azione militare americana.
Lo sgretolamento dello Stato libanese rischia di essere disastroso per tutti. Non dobbiamo dimenticare un fatto decisivo: l'organizzazione sciita di Hezbollah è nata dall'ingiusto e improprio ampliamento della prima guerra del Libano nel 1982 che intendeva spazzar via le organizzazioni terroristiche palestinesi da quello Stato.
L'organizzazione di Hezbollah è nata dalle vane idee di Ariel Sharon di un «nuovo ordine in Libano» e dalla prolungata permanenza dell'esercito israeliano in vaste zone del suo territorio. Noi crediamo che i residenti del Libano - sunniti, cristiani, drusi e persino sciiti - abbiano imparato sulla propria pelle quale sia il terribile prezzo delle violente provocazioni fondamentaliste, totalmente prive di valore militare, contro Israele. La maggior parte dei residenti del Libano crede che il ritiro di Israele nel 2000 abbia posto veramente fine all'occupazione e ha imparato a riconoscere che il confine internazionale è stato rispettato da Israele negli ultimi sei anni. Il Libano non può e non deve essere l'avanguardia nella soluzione del problema palestinese. E l'aggressione degli Hezbollah non solo non ha favorito i palestinesi ma, al contrario, ha radicalizzato le posizioni della maggioranza degli israeliani sulla possibilità di restituire altri territori ai palestinesi per il timore che un nuovo ritiro, tipo quello da Gaza, porti un attacco di missili su Tel Aviv e Gerusalemme.
Una ragionevole proposta di spiegamento dell'esercito libanese e di una forza internazionale lungo il confine, di allontanamento delle postazioni di Hezbollah e dei suoi uomini, di creazione di una zona demilitarizzata, sono quindi i possibili, ragionevoli e validi frutti di questa guerra e non è giusto aspirare ad altre soluzioni militari. Mentre scrivo queste righe ci troviamo a un bivio: proseguire l'azione militare per allontanare i razzi e altre aggressioni di Hezbollah o acconsentire a ragionevoli concessioni basate sulle proposte del Consiglio di sicurezza dell'Onu per un cessate il fuoco e una riorganizzazione del confine internazionale.
Non dimentichiamo: il Libano per gli israeliani non è come il Vietnam per gli americani, l'Afghanistan per i sovietici o l'Algeria per i francesi. Laggiù si sono svolte dure battaglie di morte e distruzione ma gli americani, i sovietici e i francesi si sono completamente allontanati da quelle nazioni con cui non hanno un confine comune. Il Libano sarà sempre nostro vicino e dobbiamo stare attenti a non rafforzare le basi e le condizioni per un'ostilità eterna i cui risultati potrebbero essere gravi per il nostro futuro nella regione.
Copyright ©2006 La Stampa
TERRORISMO: BUSH, MINACCIA INCOMBE ANCORA
(AGI) - Crawford (Texas), 12 ago. - (Embargo ore 16.06) Nonostante il piano per far esplodere una decina di aerei sia stato sventato, la minaccia terroristica continua a incombere.
Il presidente americano George W. Bush non ha dubbi che l'Occidente sia ancora nel mirino sebbene siano stati fermati gli estremisti islamici pronti a colpire sull'oceano Atlantico.
"Riteniamo che gli arresti di questa settimana abbiano inferto un colpo significativo alla minaccia", ha sottolineato Bush nel suo discorso radiofonico del sabato, registrato nel ranch texano di Crawford in cui sta trascorrendo le vacanze.
Eppure, ha proseguito, "non si puo' essere certi che la minaccia sia stata eliminata. Comunque, ha aggiunto, finora "i terroristi sono riusciti solo una volta a conseguire il loro obbiettivo di compiere una strage, mentre noi siamo riusciti tutte le altre volte a fermarli".
Per questo si sono rese necessarie le rigide misure di sicurezza decretate giovedi', dopo l'arresto in Gran Bretagna di oltre venti persone sospettate di avere ordito il complotto per far detonare bombe su una dozzina di aerei in viaggio tra Gran Bretagna e Stati Uniti. "Gli inconvenienti che dovrete affrontare sono per la vostra tutele e ci daranno il tempo di aggiustare le procedure di controllo cosi' da affrontare le minacce attuali", ha spiegato il presidente.
Bush poi ha respinto le critiche dei democratici, secondo cui la Casa Bianca sta sfruttando il nuovo allarme e la paura di attentati in vista delle elezioni di novembre per il Congresso. "Purtroppo di recente qualcuno ha suggerito che la minaccia terroristica sia usata per il vantaggio di una parte politica", ha detto, "possiamo avere legittimamente punti di vista diversi sul modo migliore per combattere i terroristi, tuttavia non dovrebbe esservi disaccordo sul pericolo che dobbiamo affrontare". (AGI) -
121400 AGO 06
COPYRIGHTS 2002-2006 AGI S.p.A.
:point: http://www.romagnaoggi.it/files/articles/141800/141750/img/bush3.jpg
I ponti di Beirut
di Lucio Melandri (redazione@vita.it)
09/08/2006
Senza la possibilità di trasportare dalla Siria e dalla Giordania gli aiuti, le riserve nei magazzini in Libano termineranno nel giro di due o tre giorni. Da Beirut Lucio Melandri
Imad è un ragazzo Libanese che da anni studia e lavora a Trieste, in Italia. Parla un italiano veloce, come una “macchinetta”… e ci pone incessantemente una domanda: «ma noi libanesi, ci meritiamo tutto questo ?». Era venuto qui, a Beirut, a trovare i suoi genitori per le ferie estive e dopo pochi giorni si è trovato nel pieno degli attacchi e dei bombardamenti. Come tanti altri non è rimasto con le mani in mano: ha raccolto gli amici di un tempo ed ha costituito subito un comitato per assistere gli sfollati, come tantissimi giovani libanesi. In particolare si occupa di coloro che sono stati accolti dalle famiglie nella capitale ed hanno bisogno di cibo, materiali e supporto.
«Beirut, Sidone, Byblos … città nelle quali alla sera d'estate uscivamo con gli amici a bere qualcosa, a ballare…..a fare due chiacchiere. Da troppi anni paghiamo noi le conseguenze - continua Imad - a causa delle scelte e delle decisioni degli altri. Hezbollah, Israeliani, Maroniti, Sciiti, Sanniti … si fanno da sempre la guerra. Eppure noi vorremmo tutti la stessa cosa: un paese in pace, nel quale puoi uscire tranquillamente con gli amici e la tua ragazza, lavorare, pensare alla tua famiglia».
E proprio mentre oggi ci accompagnava in auto ha ricevuto la notizia della morte della zia a causa di un missile: si trovava a casa, a Sidone, dove aveva ospitato anche alcuni profughi del sud: «stanno cercando ancora sotto le macerie … hanno trovato solo la zia, ma non si sa bene dove siano gli altri».
Effetti collaterali dei bombardamenti?
Imad riesce a non piangere ma, anzi, accelera a tutto gas sui ponti della capitale per paura di diventare un tutt'uno con i target preferiti dall'aviazione israeliana.
Ieri pomeriggio eravamo in partenza per Chouf, una città a sud est della capitale: un appuntamento con il Kaimakan, il sindaco di quella zona, per comprendere meglio e definire i bisogni delle migliaia di rifugiati ospitati nella regione, che ancora ogni giorno, arrivano a frotte, disperati.
«Con la benzina che abbiamo nel serbatoio non potremo mai farcela ad andare e tornare; speriamo di trovarne presso alcuni conoscenti lungo il percorso». E' Mohammed, il nostro collega che ci conduce con l'auto per le aree di questo paese.
Il carburante non si trova più e non solo per le auto ma anche gli ospedali e tutte le strutture di soccorso. Il Libano è ormai al limite. E anche noi, lungo la strada non ne troviamo.
In fila per pochi litri di benzina che vengono razionati
Intersos si è posta l'obiettivo di distribuire gli aiuti agli sfollati, a quelle famiglie che fuggendo hanno abbandonato tutto. Sono ormai un milione le persone in fuga.
Cisterne e taniche per l'acqua potabile, coperte, alimenti proteici, batterie da cucina.
Ma senza il carburante come trasportare gli aiuti?
Con i ponti bombardati e le strade interrotte come raggiungere le popolazioni?
In Libano si sta consumando una tragedia. E' davanti agli occhi di tutti, ma nessuno riesce a fermarla.
L'Alto Commissario dei Rifugiati delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha lanciato un urgente appello: se non vi sarà la possibilità di trasportare dalla Siria e dalla Giordania gli aiuti, le riserve nei magazzini in Libano termineranno nel giro dei prossimi due o tre giorni. E non vi sarà più nulla per sostenere i civili.
Rientriamo a casa, la sera, prima che su Beirut inizi la pioggia di bombe di ogni notte. Stanchi, un po' depressi ed anche delusi per non essere riusciti ad andare nella zona in cui eravamo attesi.
La radio diffonde una notizia: pesanti bombardamenti nel pomeriggio su tutta la strada che conduce da Beirut a Chouf, dove ci aspettavano.
Per oggi noi ce la siamo cavata. E gli sfollati di Chouf ?
12/8/2006 di Avraham B. Yehoshua
QUESTA guerra non è scoppiata in seguito all'aggressione degli Hezbollah del 12 luglio, con il rapimento di due soldati israeliani e l'uccisione di altri otto in territorio israeliano. Quella era solo l'ultima provocazione di un gruppo guerrigliero che tiene un'intera, debole nazione in ostaggio, gode dei suoi favori e, pur non essendone soggetto all'autorità, è rappresentato nelle sue istituzioni.
Un gruppo che si trova sotto la protezione e la guida dell'Iran, il quale gli fornisce migliaia di missili a lunga gittata contro Israele. Iran e Hezbollah negano il diritto all'esistenza di Israele, ne invocano la distruzione e in un certo senso sono più estremisti di Hamas, che ultimamente ha espresso la volontà di riconoscere lo Stato di Israele entro i confini del 1967.
Per questo Israele ha deciso, e a ragione secondo noi, di intraprendere una vasta azione militare con tre giusti obiettivi. 1)Obbligare lo Stato libanese a mettere fine a un'ambigua situazione in cui, pur garantendo protezione a un gruppo militare armato, rifiuta di assumersi la responsabilità delle sue azioni. Obbligare quindi lo Stato libanese a estendere la propria sovranità su tutto il suo territorio e ad assumersi la piena responsabilità delle azioni di tutti i suoi cittadini.
2)Distruggere almeno una parte dei missili iraniani in mano a Hezbollah, colpire i suoi centri di comando e i suoi uomini per ridurre la possibilità che colpiscano a loro volta Israele. 3)Allontanare le forze di Hezbollah dal confine internazionale affinché non possano condurre facilmente provocazioni violente contro Israele, quali l'uccisione e il rapimento di soldati, come è successo il 12 luglio.
Tutte queste ragioni hanno portato me, David Grossman e Amos Oz a esprimerci chiaramente nei confronti delle critiche alla guerra di una parte (per quanto minima) della sinistra, oltre che, soprattutto, nei confronti delle aspre e crescenti critiche dei media internazionali. E questo nonostante per molti anni tutti e tre abbiamo militato, e continuiamo a militare, tra le file dei sostenitori della pace, a favore di una riconciliazione e di concessioni, e ci fossimo opposti fin dal primo giorno alla guerra del Libano nel 1982. Ora, nella seconda guerra del Libano, riteniamo che l'azione militare di Israele sia giusta in linea di principio e la sosteniamo, per quanto non in tutte le sue mosse. Nostra intenzione era anche respingere l'accusa che Israele uccide intenzionalmente civili, come fa Hezbollah.
Se Israele fosse veramente intenzionato a uccidere civili nei bombardamenti della sua aviazione, il numero delle vittime fra la popolazione libanese sarebbe infinitamente superiore a quello pubblicato ultimamente di mille morti, rispetto ai cento israeliani. Non dobbiamo inoltre dimenticare che gli Hezbollah nascondono le loro batterie di missili fra la popolazione civile del Sud del Libano.
Lo stretto legame tra sovranità, libertà e responsabilità nei confronti del proprio territorio e dei propri cittadini è sempre stata una questione problematica in Libano. E questo, purtroppo, è anche il problema cronico dell'Autorità palestinese. Molte nazioni arabe, fra cui alcune totalmente ostili a Israele, hanno interiorizzato questo principio e riescono a comportarsi in maniera ragionevole senza causare a se stesse tragedie quali quella libanese. Cosa direbbero per esempio i libanesi se annunciassimo loro che le operazioni dell'aviazione israeliana sono al di fuori del controllo del governo e della Knesset? Che la nostra aviazione agisce in modo indipendente e secondo una propria ideologia? Accetterebbero forse una simile spiegazione?
Ma questo non è l'unico problema, e certamente non il più importante, che intendevamo esporre nel nostro appello. L'appello era rivolto soprattutto al governo di Israele con la richiesta di non ampliare la guerra, nonostante il bombardamento di missili sui centri abitati del Nord e la tentazione di aggravare la devastazione dell'organizzazione di Hezbollah. L'ampliamento della guerra, la conquista di altri territori, non solo porterebbe a un notevole aumento delle perdite di civili e militari su entrambi i fronti, ma potrebbe trascinare nel conflitto anche la Siria e creare sacche di caos totale e pericoloso che richiamerebbero elementi radicali da Stati nemici, come accade ora in Iraq dopo l'azione militare americana.
Lo sgretolamento dello Stato libanese rischia di essere disastroso per tutti. Non dobbiamo dimenticare un fatto decisivo: l'organizzazione sciita di Hezbollah è nata dall'ingiusto e improprio ampliamento della prima guerra del Libano nel 1982 che intendeva spazzar via le organizzazioni terroristiche palestinesi da quello Stato.
L'organizzazione di Hezbollah è nata dalle vane idee di Ariel Sharon di un «nuovo ordine in Libano» e dalla prolungata permanenza dell'esercito israeliano in vaste zone del suo territorio. Noi crediamo che i residenti del Libano - sunniti, cristiani, drusi e persino sciiti - abbiano imparato sulla propria pelle quale sia il terribile prezzo delle violente provocazioni fondamentaliste, totalmente prive di valore militare, contro Israele. La maggior parte dei residenti del Libano crede che il ritiro di Israele nel 2000 abbia posto veramente fine all'occupazione e ha imparato a riconoscere che il confine internazionale è stato rispettato da Israele negli ultimi sei anni. Il Libano non può e non deve essere l'avanguardia nella soluzione del problema palestinese. E l'aggressione degli Hezbollah non solo non ha favorito i palestinesi ma, al contrario, ha radicalizzato le posizioni della maggioranza degli israeliani sulla possibilità di restituire altri territori ai palestinesi per il timore che un nuovo ritiro, tipo quello da Gaza, porti un attacco di missili su Tel Aviv e Gerusalemme.
Una ragionevole proposta di spiegamento dell'esercito libanese e di una forza internazionale lungo il confine, di allontanamento delle postazioni di Hezbollah e dei suoi uomini, di creazione di una zona demilitarizzata, sono quindi i possibili, ragionevoli e validi frutti di questa guerra e non è giusto aspirare ad altre soluzioni militari. Mentre scrivo queste righe ci troviamo a un bivio: proseguire l'azione militare per allontanare i razzi e altre aggressioni di Hezbollah o acconsentire a ragionevoli concessioni basate sulle proposte del Consiglio di sicurezza dell'Onu per un cessate il fuoco e una riorganizzazione del confine internazionale.
Non dimentichiamo: il Libano per gli israeliani non è come il Vietnam per gli americani, l'Afghanistan per i sovietici o l'Algeria per i francesi. Laggiù si sono svolte dure battaglie di morte e distruzione ma gli americani, i sovietici e i francesi si sono completamente allontanati da quelle nazioni con cui non hanno un confine comune. Il Libano sarà sempre nostro vicino e dobbiamo stare attenti a non rafforzare le basi e le condizioni per un'ostilità eterna i cui risultati potrebbero essere gravi per il nostro futuro nella regione.
Copyright ©2006 La Stampa
TERRORISMO: BUSH, MINACCIA INCOMBE ANCORA
(AGI) - Crawford (Texas), 12 ago. - (Embargo ore 16.06) Nonostante il piano per far esplodere una decina di aerei sia stato sventato, la minaccia terroristica continua a incombere.
Il presidente americano George W. Bush non ha dubbi che l'Occidente sia ancora nel mirino sebbene siano stati fermati gli estremisti islamici pronti a colpire sull'oceano Atlantico.
"Riteniamo che gli arresti di questa settimana abbiano inferto un colpo significativo alla minaccia", ha sottolineato Bush nel suo discorso radiofonico del sabato, registrato nel ranch texano di Crawford in cui sta trascorrendo le vacanze.
Eppure, ha proseguito, "non si puo' essere certi che la minaccia sia stata eliminata. Comunque, ha aggiunto, finora "i terroristi sono riusciti solo una volta a conseguire il loro obbiettivo di compiere una strage, mentre noi siamo riusciti tutte le altre volte a fermarli".
Per questo si sono rese necessarie le rigide misure di sicurezza decretate giovedi', dopo l'arresto in Gran Bretagna di oltre venti persone sospettate di avere ordito il complotto per far detonare bombe su una dozzina di aerei in viaggio tra Gran Bretagna e Stati Uniti. "Gli inconvenienti che dovrete affrontare sono per la vostra tutele e ci daranno il tempo di aggiustare le procedure di controllo cosi' da affrontare le minacce attuali", ha spiegato il presidente.
Bush poi ha respinto le critiche dei democratici, secondo cui la Casa Bianca sta sfruttando il nuovo allarme e la paura di attentati in vista delle elezioni di novembre per il Congresso. "Purtroppo di recente qualcuno ha suggerito che la minaccia terroristica sia usata per il vantaggio di una parte politica", ha detto, "possiamo avere legittimamente punti di vista diversi sul modo migliore per combattere i terroristi, tuttavia non dovrebbe esservi disaccordo sul pericolo che dobbiamo affrontare". (AGI) -
121400 AGO 06
COPYRIGHTS 2002-2006 AGI S.p.A.
:point: http://www.romagnaoggi.it/files/articles/141800/141750/img/bush3.jpg
I ponti di Beirut
di Lucio Melandri (redazione@vita.it)
09/08/2006
Senza la possibilità di trasportare dalla Siria e dalla Giordania gli aiuti, le riserve nei magazzini in Libano termineranno nel giro di due o tre giorni. Da Beirut Lucio Melandri
Imad è un ragazzo Libanese che da anni studia e lavora a Trieste, in Italia. Parla un italiano veloce, come una “macchinetta”… e ci pone incessantemente una domanda: «ma noi libanesi, ci meritiamo tutto questo ?». Era venuto qui, a Beirut, a trovare i suoi genitori per le ferie estive e dopo pochi giorni si è trovato nel pieno degli attacchi e dei bombardamenti. Come tanti altri non è rimasto con le mani in mano: ha raccolto gli amici di un tempo ed ha costituito subito un comitato per assistere gli sfollati, come tantissimi giovani libanesi. In particolare si occupa di coloro che sono stati accolti dalle famiglie nella capitale ed hanno bisogno di cibo, materiali e supporto.
«Beirut, Sidone, Byblos … città nelle quali alla sera d'estate uscivamo con gli amici a bere qualcosa, a ballare…..a fare due chiacchiere. Da troppi anni paghiamo noi le conseguenze - continua Imad - a causa delle scelte e delle decisioni degli altri. Hezbollah, Israeliani, Maroniti, Sciiti, Sanniti … si fanno da sempre la guerra. Eppure noi vorremmo tutti la stessa cosa: un paese in pace, nel quale puoi uscire tranquillamente con gli amici e la tua ragazza, lavorare, pensare alla tua famiglia».
E proprio mentre oggi ci accompagnava in auto ha ricevuto la notizia della morte della zia a causa di un missile: si trovava a casa, a Sidone, dove aveva ospitato anche alcuni profughi del sud: «stanno cercando ancora sotto le macerie … hanno trovato solo la zia, ma non si sa bene dove siano gli altri».
Effetti collaterali dei bombardamenti?
Imad riesce a non piangere ma, anzi, accelera a tutto gas sui ponti della capitale per paura di diventare un tutt'uno con i target preferiti dall'aviazione israeliana.
Ieri pomeriggio eravamo in partenza per Chouf, una città a sud est della capitale: un appuntamento con il Kaimakan, il sindaco di quella zona, per comprendere meglio e definire i bisogni delle migliaia di rifugiati ospitati nella regione, che ancora ogni giorno, arrivano a frotte, disperati.
«Con la benzina che abbiamo nel serbatoio non potremo mai farcela ad andare e tornare; speriamo di trovarne presso alcuni conoscenti lungo il percorso». E' Mohammed, il nostro collega che ci conduce con l'auto per le aree di questo paese.
Il carburante non si trova più e non solo per le auto ma anche gli ospedali e tutte le strutture di soccorso. Il Libano è ormai al limite. E anche noi, lungo la strada non ne troviamo.
In fila per pochi litri di benzina che vengono razionati
Intersos si è posta l'obiettivo di distribuire gli aiuti agli sfollati, a quelle famiglie che fuggendo hanno abbandonato tutto. Sono ormai un milione le persone in fuga.
Cisterne e taniche per l'acqua potabile, coperte, alimenti proteici, batterie da cucina.
Ma senza il carburante come trasportare gli aiuti?
Con i ponti bombardati e le strade interrotte come raggiungere le popolazioni?
In Libano si sta consumando una tragedia. E' davanti agli occhi di tutti, ma nessuno riesce a fermarla.
L'Alto Commissario dei Rifugiati delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha lanciato un urgente appello: se non vi sarà la possibilità di trasportare dalla Siria e dalla Giordania gli aiuti, le riserve nei magazzini in Libano termineranno nel giro dei prossimi due o tre giorni. E non vi sarà più nulla per sostenere i civili.
Rientriamo a casa, la sera, prima che su Beirut inizi la pioggia di bombe di ogni notte. Stanchi, un po' depressi ed anche delusi per non essere riusciti ad andare nella zona in cui eravamo attesi.
La radio diffonde una notizia: pesanti bombardamenti nel pomeriggio su tutta la strada che conduce da Beirut a Chouf, dove ci aspettavano.
Per oggi noi ce la siamo cavata. E gli sfollati di Chouf ?