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Razj
se ti riferisci all'art. 11 come presumo allora non è proprio così visto che, in primis, è un articolo scritto senza avere in mente chiaramente l'europa ma le Nazioni Unite, oggetto di estensive interpretazioni sia da parte della giurisprudenza costituzionale che della corte di giustizia europea, ed inoltre l'interpretazione dell' l'art. 11 non è mai stata nel senso di cercare nella disposizione un fantomatico potere di legittimare o delegittimare un eventuale trattato internazionale, ma come possibile giustificazione della prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno nazionale, visto che in italia i regolamenti comunitari vengono ratificati con legge ordinaria e non legge costituzionale, quindi bisognava trovare una "scusa" per non fare entrare in gioco tutti quei meccanismi tipici delle norme di pari rango tra cui anche il ricorso di legittimità alla corte costituzionale.
Citando una delle prime sentenze della corte cost. sull'art. 11: "la norma significa che, quando ricorrano certi presupposti, è possibile stipulare trattati con cui si assumano limitazioni della sovranità ed è consentito darvi esecuzione con legge ordinaria
come vedi da sempre l'oggetto di interpretazione dell'art. 11 non è certo quello di voler trovare nella disposizione un precetto che imponga criteri innominati allo Stato che siano limitanti l'autonomia di essere parte nei trattati internazionali. Si tradurrebbe in una limitazione di sovranità statale da parte della stessa costituzione, mi sembra leggermente paradossale che dici?
Inoltre pur volendo accogliere la tua interpretazione per quanto paradossale possa essere si tradurrebbe di fatto in un loop infinito che andrebbe a delegittimare ogni singolo trattato europeo a partire da quelli della CEE perché è la normalità che i vari paesi membri (ed è specialmente vero per quei paesi che vogliono entrare nell'UE) si ritaglino, all'interno dello stesso trattato, prerogative e condizioni diverse in base alle proprie necessità attuali. Non sempre anzi quasi mai i rapporti tra UE e stati membri hanno lo stesso contenuto e medesima portata pur scaturendo dallo stesso trattato. E' il cosidetto fenomeno denominato integrazione differenziata, un esempio su tutti: la scelta di UK e Danimarca di rimanere estranei alla politica monetaria dell'UE. E ti dirò di più il trattato di Lisbona ha ampliato a dismisura questa "prassi" di applicazione differenziata dello stesso trattato introducendo i cosidetti Protocolli a cui i paesi membri possono aderire o meno mantenendo l'adesione al trattato.
Quindi come vedi l'interpretazione sul cedere lo "stesso tipo di sovranità" non sta nè in cielo nè in terra. "In condizioni di parità" (e non "a parità di condizioni, che è BEN diverso) non significa affatto "stesso tipo di sovranità": va interpretato tenendo a mente i tempi storici e la ratio per cui è stata scritta la disposizione, ovvero per legittimare la partecipazione all'organizzazione delle nazioni unite in un periodo immediatamente susseguente la seconda guerra mondiale. Mi pare chiaro che la volontà di specificare "in condizioni di parità" sia figlia di quei tempi di estremo conflitto e voglia sottolineare la sostanziale eguaglianza dei paesi sottoscriventi il trattato internazionale - specie se consideri il preambolo dello statuto:
"NOI, POPOLI DELLE NAZIONI UNITE
[...]
In conseguenza, i nostri rispettivi Governi, per mezzo dei loro rappresentanti riuniti nella città di San Francisco e muniti di pieni poteri riconosciuti in buona e debita forma, hanno concordato il presente Statuto delle Nazioni Unite ed istituiscono con ciò un'organizzazione internazionale che sarà denominata le Nazioni Unite.
ed ancora all'art. 2: L'Organizzazione è fondata sul principio della sovrana eguaglianza di tutti i suoi Membri.
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