Va bene, dimmi come dovrei comportarmi, ti ascolto.
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fraintendere un discorso e' ben diverso dall'estrapolare da un discorso frasi ad arte per far nascere il fraintendimento: perche' in un caso il discorso si prestava per sua natura ad essere frainteso, nell'altro caso il senso stesso di quanto detto viene stravolto appositamente per rendere fraintendibile il discorso..
e' inutile lo so :gha:
ma che c'entra qui siamo su un forum, fossimo viso a viso discuteremmo a voce, ma non mi pare che avere opinioni diverse comporti l'intolleranza reciproca, tanto piu' che sul forum l'atteggiamento mancando il contatto sembra sempre piu' freddo e spocchioso di quanto poi non sarebbe in realta'Quote:
Ti incalzo, che t'aspetti che sto lì inerte ? Oltre tutto mi conosci, che ti fai venire a fare il veleno. Che pensi che se ti vedo per strada non te la offro una birra o una pizza già solo per le litigate sul forum ?
non e' rosikarci sopra, ma proprio perche' mi conosci da anni mi aspetto che almeno le cose basilari non si debbano ripetere tutte le volte... :|Quote:
E infatti. Non mi pare che i tuoi post siano privi di provacazioni nei miei confronti, mi pare strano viceversa che ci rosiki sopra, visto che è una prassi comune da anni.
che poi ci si pizzichi sopra a vicenda mi sta pure bene, e' anche divertente quando non fatto con cattiveria.. pero' non e' che tutte le volte si puo' ritornare a ricordare le proprie posizioni, non doverlo fare e' un vantaggio derivante dal conoscersi
relbhe io ritratterei, tanto non ti sta a sentire
Cioè tu ti ritieni superiore ?ma per favore :rotfl: :rotfl: :rotfl:
al prossimo post cosa dici ? Che sei l'incarnazione di Napoleone ? Fatti curare va essere superiore,la megalomania è una brutta cosa...
ah,essere superiore, devi ancora rispondere a questo:
"Sei un osservatore identico ai fanatici islamici.
L'hai letto il discorso del Papa almeno prima di mettere sentenze ? o l'hai letto a modo tuo,senza capire una singola sillaba del discorso e senza capire l'insieme del discorso ?
Dimmi cosa c'è di sbagliato nel dire che la guerra santa è spirituale e non materiale, che uccidere in nome di Dio è la cosa più sbagliata al mondo..avanti..spiegami cosa c'è di sbagliato in questa affermazione"
Credo che se lo siano chiesti tutti gli uomini da sempre.
Voltaire, che non era certo un fanatico religioso, rispose in questo modo, anche in polemica con alcuni suoi amici fanaticamente atei: "Se Dio non ci fosse, bisognerebbe inventarlo". Implicando in questo modo un po' tutto il pensiero dei 2 millenni che lo precedevano.
Naturalmente, all'epoca non esisteva ancora la Fiat Panda.
Si lo so.
Cambiate tattica su.
Per esempio, siccome parlate del discorso del papa, provate a prendere il suo discorso e a commentarmelo, magari cambio idea, se il vostro commento è fatto bene e mi dimostrate che sono in malafede.
Datemi pure contro altrimenti, non andate da nessuna parte.
Come ho consigliato all'altro, il modo giusto di procedere è mettermi davanti il discorso del papa e farmi vedere che sono in malafede.
Se mi dai contro, o cerchi di convincermi a essere umile, non ottieni nulla, di me stesso ho ormai una opinione troppo alta anche 500 post di insulti non mi smuovono, e lo sai.
Viceversa guadagni il mio rispetto se ti cimenti in un problema in modo corretto.
Sai stavo pensando di editare perchè misa che ho scritto na puttanata,anche perchè come dice rhelbe magari io leggo quello che scrivi in modo provocatorio mentre te lo scrivi senza questo intento,ma tanto oramai è scritto quindi bon lasciamo così e passiamo avanti.
Non è che ci sia un modo giusto di comportarsi solo mi sembra che ti agiti troppo quando senti qualcuno che la pensa diversamente da te,poi spero vivamente di sbagliarmi:thumbup:
si ma vedi, proprio per la tua opinione troppo alta non ti poni neanche il problema 1 se hai preso una cantonata in partenza 2 se con questo tuo modo di fare fai venir voglia a qualcuno di venirti incontro o piuttosto la tentazione e' solo quella di rispondere per le rime alle tue provocazioni e lasciarti bollire nel tuo brodo
visto che il thread l'hai aperto te, e sei cosi' convinto di aver ragione, prova te per una volta a spiegare perche' il papa ha sbagliato a fare un discorso del genere, cioe' dove starebbero queste possibilita' di fraintendimento
Quando io dico che il conflitto d'interessi è sbagliato in ogni campo mi danno tutti addosso ç_ç
icchiloQuote:
Illustri Signori, gentili Signore!
È per me un momento emozionante stare ancora una volta sulla cattedra dell'università e una volta ancora poter tenere una lezione. I miei pensieri, contemporaneamente, ritornano a quegli anni in cui, dopo un bel periodo presso l'Istituto superiore di Freising, iniziai la mia attività di insegnante accademico all’università di Bonn. Era – nel 1959 – ancora il tempo della vecchia università dei professori ordinari.
Per le singole cattedre non esistevano né assistenti né dattilografi, ma in compenso c'era un contatto molto diretto con gli studenti e soprattutto anche tra i professori. Ci si incontrava prima e dopo la lezione nelle stanze dei docenti. I contatti con gli storici, i filosofi, i filologi e naturalmente anche tra le due facoltà teologiche erano molto stretti. Una volta in ogni semestre c'era un cosiddetto dies academicus, in cui professori di tutte le facoltà si presentavano davanti agli studenti dell'intera università, rendendo così possibile una vera esperienza di universitas: il fatto che noi, nonostante tutte le specializzazioni, che a volte ci rendono incapaci di comunicare tra di noi, formiamo un tutto e lavoriamo nel tutto dell'unica ragione con le sue varie dimensioni, stando così insieme anche nella comune responsabilità per il retto uso della ragione – questo fatto diventava esperienza viva. L'università, senza dubbio, era fiera anche delle sue due facoltà teologiche. Era chiaro che anch'esse, interrogandosi sulla ragionevolezza della fede, svolgono un lavoro che necessariamente fa parte del "tutto" dell'universitas scientiarum, anche se non tutti potevano condividere la fede, per la cui correlazione con la ragione comune si impegnano i teologi. Questa coesione interiore nel cosmo della ragione non venne disturbata neanche quando una volta trapelò la notizia che uno dei colleghi aveva detto che nella nostra università c'era una stranezza: due facoltà che si occupavano di una cosa che non esisteva – di Dio. Che anche di fronte ad uno scetticismo così radicale resti necessario e ragionevole interrogarsi su Dio per mezzo della ragione e ciò debba essere fatto nel contesto della tradizione della fede cristiana: questo, nell'insie¬me dell'università, era una convinzione indiscussa.
Tutto ciò mi tornò in mente, quando recentemente lessi la parte edita dal professore Theodore Khoury (Münster) del dialogo che il dotto imperatore bizantino Manuele II Paleologo, forse durante i quartieri d'inverno del 1391 presso Ankara, ebbe con un persiano colto su cristianesimo e islam e sulla verità di ambedue. Fu poi probabilmente l'imperatore stesso ad annotare, durante l'assedio di Costantinopoli tra il 1394 e il 1402, questo dialogo; si spiega così perché i suoi ragionamenti siano riportati in modo molto più dettagliato che non le risposte dell'erudito persiano. Il dialogo si estende su tutto l'ambito delle strutture della fede contenute nella Bibbia e nel Corano e si sofferma soprattutto sull'immagine di Dio e dell'uomo, ma necessariamente anche sempre di nuovo sulla relazione tra le "tre Leggi": Antico Testamento – Nuovo Testamento – Corano. Vorrei toccare in questa lezione solo un argomento – piuttosto marginale nella struttura del dialogo – che, nel contesto del tema "fede e ragione", mi ha affascinato e che mi servirà come punto di partenza per le mie riflessioni su questo tema.
Nel settimo colloquio (διάλεξις – controversia) edito dal prof. Khoury, l'imperato¬re tocca il tema della jihād (guerra santa). Sicuramente l'imperatore sapeva che nella sura 2, 256 si legge: "Nessuna costrizione nelle cose di fede". È una delle sure del periodo iniziale in cui Maometto stesso era ancora senza potere e minacciato. Ma, naturalmente, l'imperatore conosceva anche le disposizioni, sviluppate successivamente e fissate nel Corano, circa la guerra santa. Senza soffermarsi sui particolari, come la differenza di trattamento tra coloro che possiedono il "Libro" e gli "increduli", egli, in modo sorprendentemente brusco, si rivolge al suo interlocutore semplicemente con la domanda centrale sul rapporto tra religione e violenza in genere, dicendo: "Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava". L'imperatore spiega poi minuziosamente le ragioni per cui la diffusione della fede mediante la violenza è cosa irragionevole. La violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell'anima. "Dio non si compiace del sangue; non agire secondo ragione (σὺν λόγω) è contrario alla natura di Dio. La fede è frutto dell'anima, non del corpo. Chi quindi vuole condurre qualcuno alla fede ha bisogno della capacità di parlare bene e di ragionare correttamente, non invece della violenza e della minaccia… Per convincere un'ani¬ma ragionevole non è necessario disporre né del proprio braccio, né di strumenti per colpire né di qualunque altro mezzo con cui si possa minacciare una persona di morte…".
L'affermazione decisiva in questa argomentazione contro la conversione mediante la violenza è: non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio. L'editore, Theodore Khoury, commenta: per l'imperatore, come bizantino cresciuto nella filosofia greca, quest'affermazione è evidente. Per la dottrina musulmana, invece, Dio è assolutamente trascendente. La sua volontà non è legata a nessuna delle nostre categorie, fosse anche quella della ragionevolezza. In questo contesto Khoury cita un'opera del noto islamista francese R. Arnaldez, il quale rileva che Ibn Hazn si spinge fino a dichiarare che Dio non sarebbe legato neanche dalla sua stessa parola e che niente lo obbligherebbe a rivelare a noi la verità. Se fosse sua volontà, l'uomo dovrebbe praticare anche l'idolatria.
Qui si apre, nella comprensione di Dio e quindi nella realizzazione concreta della religione, un dilemma che oggi ci sfida in modo molto diretto. La convinzione che agire contro la ragione sia in contraddizione con la natura di Dio, è soltanto un pensiero greco o vale sempre e per se stesso? Io penso che in questo punto si manifesti la profonda concordanza tra ciò che è greco nel senso migliore e ciò che è fede in Dio sul fondamento della Bibbia. Modificando il primo versetto del Libro della Genesi, Giovanni ha iniziato il prologo del suo Vangelo con le parole: "In principio era il λόγος". È questa proprio la stessa parola che usa l'imperatore: Dio agisce con logos. Logos significa insieme ragione e parola – una ragione che è creatrice e capace di comunicarsi ma, appunto, come ragione. Giovanni con ciò ci ha donato la parola conclusiva sul concetto biblico di Dio, la parola in cui tutte le vie spesso faticose e tortuose della fede biblica raggiungono la loro meta, trovano la loro sintesi. In principio era il logos, e il logos è Dio, ci dice l'evangelista. L'incontro tra il messaggio biblico e il pensiero greco non era un semplice caso. La visione di san Paolo, davanti al quale si erano chiuse le vie dell'Asia e che, in sogno, vide un Macedone e sentì la sua supplica: "Passa in Macedonia e aiutaci!" (cfr At 16,6-10) – questa visione può essere interpretata come una "condensazione" della necessità intrinseca di un avvicinamento tra la fede biblica e l'interrogar¬si greco.
In realtà, questo avvicinamento ormai era avviato da molto tempo. Già il nome misterioso di Dio dal roveto ardente, che distacca questo Dio dall'insieme delle divinità con molteplici nomi affermando soltanto il suo essere, è, nei confronti del mito, una contestazione con la quale sta in intima analogia il tentativo di Socrate di vincere e superare il mito stesso. Il processo iniziato presso il roveto raggiunge, all'interno dell'Anti¬co Testamento, una nuova maturità durante l'esilio, dove il Dio d'Israele, ora privo della Terra e del culto, si annuncia come il Dio del cielo e della terra, presentandosi con una semplice formula che prolunga la parola del roveto: "Io sono". Con questa nuova conoscenza di Dio va di pari passo una specie di illuminismo, che si esprime in modo drastico nella derisione delle divinità che sono soltanto opera delle mani dell'uomo (cfr Sal 115). Così, nonostante tutta la durezza del disaccordo con i sovrani ellenistici, che volevano ottenere con la forza l'adeguamen¬to allo stile di vita greco e al loro culto idolatrico, la fede biblica, durante l'epoca ellenistica, andava interiormente incontro alla parte migliore del pensiero greco, fino ad un contatto vicendevole che si è poi realizzato specialmente nella tarda letteratura sapienziale. Oggi noi sappiamo che la traduzione greca dell'Antico Testamento, realizzata in Alessandria – la "Settanta" –, è più di una semplice (da valutare forse in modo poco positivo) traduzione del testo ebraico: è infatti una testimonianza testuale a se stante e uno specifico importante passo della storia della Rivelazione, nel quale si è realizzato questo incontro in un modo che per la nascita del cristianesimo e la sua divulgazione ha avuto un significato decisivo. Nel profondo, vi si tratta dell'incontro tra fede e ragione, tra autentico illuminismo e religione. Partendo veramente dall'inti¬ma natura della fede cristiana e, al contempo, dalla natura del pensiero ellenistico fuso ormai con la fede, Manuele II poteva dire: Non agire "con il logos" è contrario alla natura di Dio.
Per onestà bisogna annotare a questo punto che, nel tardo Medioevo, si sono sviluppate nella teologia tendenze che rompono questa sintesi tra spirito greco e spirito cristiano. In contrasto con il cosiddetto intellettualismo agostiniano e tomista iniziò con Duns Scoto una impostazione volontaristica, la quale alla fine portò all'affermazione che noi di Dio conosceremmo soltanto la voluntas ordinata. Al di là di essa esisterebbe la libertà di Dio, in virtù della quale Egli avrebbe potuto creare e fare anche il contrario di tutto ciò che effettivamente ha fatto. Qui si profilano delle posizioni che, senz'altro, possono avvicinarsi a quelle di Ibn Hazn e potrebbero portare fino all'immagi¬ne di un Dio-Arbitrio, che non è legato neanche alla verità e al bene. La trascendenza e la diversità di Dio vengono accentuate in modo così esagerato, che anche la nostra ragione, il nostro senso del vero e del bene non sono più un vero specchio di Dio, le cui possibilità abissali rimangono per noi eternamente irraggiungibili e nascoste dietro le sue decisioni effettive. In contrasto con ciò, la fede della Chiesa si è sempre attenuta alla convinzione che tra Dio e noi, tra il suo eterno Spirito creatore e la nostra ragione creata esista una vera analogia, in cui certo le dissomiglianze sono infinitamente più grandi delle somiglianze, non tuttavia fino al punto da abolire l'analogia e il suo linguaggio (cfr Lat IV). Dio non diventa più divino per il fatto che lo spingiamo lontano da noi in un volontarismo puro ed impenetrabile, ma il Dio veramente divino è quel Dio che si è mostrato come logos e come logos ha agito e agisce pieno di amore in nostro favore. Certo, l'amore "sorpassa" la conoscenza ed è per questo capace di percepire più del semplice pensiero (cfr Ef 3,19), tuttavia esso rimane l'amore del Dio-logos, per cui il culto cristiano è λογικὴ λατρεία – un culto che concorda con il Verbo eterno e con la nostra ragione (cfr Rm 12,1).
Il qui accennato vicendevole avvicinamento interiore, che si è avuto tra la fede biblica e l'interrogarsi sul piano filosofico del pensiero greco, è un dato di importanza decisiva non solo dal punto di vista della storia delle religioni, ma anche da quello della storia universale – un dato che ci obbliga anche oggi. Considerato questo incontro, non è sorprendente che il cristianesimo, nonostante la sua origine e qualche suo sviluppo importante nell'Oriente, abbia infine trovato la sua impronta storicamente decisiva in Europa. Possiamo esprimerlo anche inversamente: questo incontro, al quale si aggiunge successivamente ancora il patrimonio di Roma, ha creato l'Europa e rimane il fondamento di ciò che, con ragione, si può chiamare Europa.
Alla tesi che il patrimonio greco, criticamente purificato, sia una parte integrante della fede cristiana, si oppone la richiesta della dis-ellenizzazione del cristianesimo – una richiesta che dall'inizio dell'età moderna domina in modo crescente la ricerca teologica. Visto più da vicino, si possono osservare tre onde nel programma della dis-ellenizzazione: pur collegate tra di loro, esse tuttavia nelle loro motivazioni e nei loro obiettivi sono chiaramente distinte l'una dall'altra.
La dis-ellenizzazione emerge dapprima in connessione con i postulati fondamentali della Riforma del XVI secolo. Considerando la tradizione delle scuole teologiche, i riformatori si vedevano di fronte ad una sistematizzazione della fede condizionata totalmente dalla filosofia, di fronte cioè ad una determinazione della fede dall'esterno in forza di un modo di pensare che non derivava da essa. Così la fede non appariva più come vivente parola storica, ma come elemento inserito nella struttura di un sistema filosofico. Il sola Scriptura invece cerca la pura forma primordiale della fede, come essa è presente originariamente nella Parola biblica. La metafisica appare come un presupposto derivante da altra fonte, da cui occorre liberare la fede per farla tornare ad essere totalmente se stessa. Con la sua affermazione di aver dovuto accantonare il pensare per far spazio alla fede, Kant ha agito in base a questo programma con una radicalità imprevedibile per i riformatori. Con ciò egli ha ancorato la fede esclusivamente alla ragione pratica, negandole l'accesso al tutto della realtà.
La teologia liberale del XIX e del XX secolo apportò una seconda onda nel programma della dis-ellenizzazione: di essa rappresentante eminente è Adolf von Harnack. Durante il tempo dei miei studi, come nei primi anni della mia attività accademica, questo programma era fortemente operante anche nella teologia cattolica. Come punto di partenza era utilizzata la distinzione di Pascal tra il Dio dei filosofi ed il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Nella mia prolusione a Bonn, nel 1959, ho cercato di affrontare questo argomento. Non intendo riprendere qui tutto il discorso. Vorrei però tentare di mettere in luce almeno brevemente la novità che caratterizzava questa seconda onda di dis-ellenizzazione rispetto alla prima. Come pensiero centrale appare, in Harnack, il ritorno al semplice uomo Gesù e al suo messaggio semplice, che verrebbe prima di tutte le teologizzazioni e, appunto, anche prima delle ellenizzazioni: sarebbe questo messaggio semplice che costituirebbe il vero culmine dello sviluppo religioso dell'umanità. Gesù avrebbe dato un addio al culto in favore della morale. In definitiva, Egli viene rappresentato come padre di un messaggio morale umanitario. Lo scopo di ciò è in fondo di riportare il cristianesimo in armonia con la ragione moderna, liberandolo, appunto, da elementi apparentemente filosofici e teologici, come per esempio la fede nella divinità di Cristo e nella trinità di Dio. In questo senso, l'esegesi storico-critica del Nuovo Testamento sistema nuovamente la teologia nel cosmo dell'universi¬tà: teologia, per Harnack, è qualcosa di essenzialmente storico e quindi di strettamente scientifico. Ciò che essa indaga su Gesù mediante la critica è, per così dire, espressione della ragione pratica e di conseguenza anche sostenibile nell'insieme dell'università. Nel sottofondo c'è l'autolimitazione moderna della ragione, espressa in modo classico nelle "critiche" di Kant, nel frattempo però ulteriormente radicalizzata dal pensiero delle scienze naturali. Questo concetto moderno della ragione si basa, per dirla in breve, su una sintesi tra platonismo (cartesianismo) ed empirismo, che il successo tecnico ha confermato. Da una parte si presuppone la struttura matematica della materia, la sua per così dire razionalità intrinseca, che rende possibile comprenderla ed usarla nella sua efficacia operativa: questo presupposto di fondo è, per così dire, l'elemento platonico nel concetto moderno della natura. Dall'altra parte, si tratta della utilizzabilità funzionale della natura per i nostri scopi, dove solo la possibilità di controllare verità o falsità mediante l'esperimento fornisce la certezza decisiva. Il peso tra i due poli può, a seconda delle circostanze, stare più dall'una o più dall'altra parte. Un pensatore così strettamente positivista come J. Monod si è dichiarato convinto platonico o cartesiano.
Questo comporta due orientamenti fondamentali decisivi per la nostra questione. Soltanto il tipo di certezza derivante dalla sinergia di matematica ed empiria ci permette di parlare di scientificità. Ciò che pretende di essere scienza deve confrontarsi con questo criterio. E così anche le scienze che riguardano le cose umane, come la storia, la psicologia, la sociologia e la filosofia, cercano di avvicinarsi a questo canone della scientificità. Importante per le nostre riflessioni, comunque, è ancora il fatto che il metodo come tale esclude il problema Dio, facendolo apparire come problema ascientifico o pre-scientifico. Con questo, però, ci troviamo davanti ad una riduzione del raggio di scienza e ragione che è doveroso mettere in questione.
Torneremo ancora su questo argomento. Per il momento basta tener presente che, in un tentativo alla luce di questa prospettiva di conservare alla teologia il carattere di disciplina "scientifica", del cristianesimo resterebbe solo un misero frammento. Ma dobbiamo dire di più: è l'uomo stesso che con ciò subisce una riduzione. Poiché allora gli interrogativi propriamente umani, cioè quelli del "da dove" e del "verso dove", gli interrogativi della religione e dell'ethos, non possono trovare posto nello spazio della comune ragione descritta dalla "scienza" e devono essere spostati nell'ambito del soggettivo. Il soggetto decide, in base alle sue esperienze, che cosa gli appare religiosamente sostenibile, e la "coscienza" soggettiva diventa in definitiva l'unica istanza etica. In questo modo, però, l'ethos e la religione perdono la loro forza di creare una comunità e scadono nell'ambito della discrezionalità personale. È questa una condizione pericolosa per l'umanità: lo costatiamo nelle patologie minacciose della religione e della ragione – patologie che necessariamente devono scoppiare, quando la ragione viene ridotta a tal punto che le questioni della religione e dell'ethos non la riguardano più. Ciò che rimane dei tentativi di costruire un'etica partendo dalle regole dell'evoluzione o dalla psicologia e dalla sociologia, semplicemente insufficiente.
Prima di giungere alle conclusioni alle quali mira tutto questo ragionamento, devo accennare ancora brevemente alla terza onda della dis-ellenizzazione che si diffonde attualmente. In considerazione dell’incontro con la molteplicità delle culture si ama dire oggi che la sintesi con l’ellenismo, compiutasi nella Chiesa antica, sarebbe stata una prima inculturazione, che non dovrebbe vincolare le altre culture. Queste dovrebbero avere il diritto di tornare indietro fino al punto che precedeva quella inculturazione per scoprire il semplice messaggio del Nuovo Testamento ed inculturarlo poi di nuovo nei loro rispettivi ambienti. Questa tesi non è semplicemente sbagliata; è tuttavia grossolana ed imprecisa. Il Nuovo Testamento, infatti, e stato scritto in lingua greca e porta in se stesso il contatto con lo spirito greco – un contatto che era maturato nello sviluppo precedente dell’Antico Testamento. Certamente ci sono elementi nel processo formativo della Chiesa antica che non devono essere integrati in tutte le culture. Ma le decisioni di fondo che, appunto, riguardano il rapporto della fede con la ricerca della ragione umana, queste decisioni di fondo fanno parte della fede stessa e ne sono gli sviluppi, conformi alla sua natura.
Con ciò giungo alla conclusione. Questo tentativo, fatto solo a grandi linee, di critica della ragione moderna dal suo interno, non include assolutamente l’opinione che ora si debba ritornare indietro, a prima dell’illuminismo, rigettando le convinzioni dell’età moderna. Quello che nello sviluppo moderno dello spirito è valido viene riconosciuto senza riserve: tutti siamo grati per le grandiose possibilità che esso ha aperto all’uomo e per i progressi nel campo umano che ci sono stati donati. L’ethos della scientificità, del resto, è volontà di obbedienza alla verità e quindi espressione di un atteggiamento che fa parte della decisione di fondo dello spirito cristiano. Non ritiro, non critica negativa è dunque l’intenzione; si tratta invece di un allargamento del nostro concetto di ragione e dell’uso di essa. Perché con tutta la gioia di fronte alle possibilità dell'uomo, vediamo anche le minacce che emergono da queste possibilità e dobbiamo chiederci come possiamo dominarle. Ci riusciamo solo se ragione e fede si ritrovano unite in un modo nuovo; se superiamo la limitazione autodecretata della ragione a ciò che è verificabile nell'esperimento, e dischiudiamo ad essa nuovamente tutta la sua ampiezza. In questo senso la teologia, non soltanto come disciplina storica e umano-scientifica, ma come teologia vera e propria, cioè come interrogativo sulla ragione della fede, deve avere il suo posto nell'università e nel vasto dialogo delle scienze.
Solo così diventiamo anche capaci di un vero dialogo delle culture e delle religioni – un dialogo di cui abbiamo un così urgente bisogno. Nel mondo occidentale domina largamente l'opinione, che soltanto la ragione positivista e le forme di filosofia da essa derivanti siano universali. Ma le culture profondamente religiose del mondo vedono proprio in questa esclusione del divino dall'universalità della ragione un attacco alle loro convinzioni più intime. Una ragione, che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell'ambito delle sottoculture, è incapace di inserirsi nel dialogo delle culture. E tuttavia, la moderna ragione propria delle scienze naturali, con l'intrinse¬co suo elemento platonico, porta in sé, come ho cercato di dimostrare, un interrogativo che la trascende insieme con le sue possibilità metodiche. Essa stessa deve semplicemente accettare la struttura razionale della materia e la corrispondenza tra il nostro spirito e le strutture razionali operanti nella natura come un dato di fatto, sul quale si basa il suo percorso metodico. Ma la domanda sul perché di questo dato di fatto esiste e deve essere affidata dalle scienze naturali ad altri livelli e modi del pensare – alla filosofia e alla teologia. Per la filosofia e, in modo diverso, per la teologia, l'ascoltare le grandi esperienze e convinzioni delle tradizioni religiose dell'umanità, specialmente quella della fede cristiana, costituisce una fonte di conoscenza; rifiutarsi ad essa significherebbe una riduzione inaccettabile del nostro ascoltare e rispondere. Qui mi viene in mente una parola di Socrate a Fedone. Nei colloqui precedenti si erano toccate molte opinioni filosofiche sbagliate, e allora Socrate dice: "Sarebbe ben comprensibile se uno, a motivo dell'irritazione per tante cose sbagliate, per il resto della sua vita prendesse in odio ogni discorso sull'essere e lo denigrasse. Ma in questo modo perderebbe la verità dell'essere e subirebbe un grande danno". L'occiden¬te, da molto tempo, è minacciato da questa avversione contro gli interrogativi fondamentali della sua ragione, e così può subire solo un grande danno. Il coraggio di aprirsi all'ampiezza della ragione, non il rifiuto della sua grandezza – è questo il programma con cui una teologia impegnata nella riflessione sulla fede biblica, entra nella disputa del tempo presente. "Non agire secondo ragione (con il logos) è contrario alla natura di Dio", ha detto Manuele II, partendo dalla sua immagine cristiana di Dio, all'interlocutore persiano. È a questo grande logos, a questa vastità della ragione, che invitiamo nel dialogo delle culture i nostri interlocutori. Ritrovarla noi stessi sempre di nuovo, è il grande compito dell'università.
eccoti la parte incriminata, come potrai ben notare c'è una frase ben peggiore detta prima ma quella non ha provocato polemiche.
tutto ruota intorno alla sconfessione della guerra santa, è da notare come poi riporta un'altra citazione per spiegare quanto detto
Quote:
Nel settimo colloquio (διάλεξις – controversia) edito dal prof. Khoury, l'imperato¬re tocca il tema della jihād (guerra santa). Sicuramente l'imperatore sapeva che nella sura 2, 256 si legge: "Nessuna costrizione nelle cose di fede". È una delle sure del periodo iniziale in cui Maometto stesso era ancora senza potere e minacciato. Ma, naturalmente, l'imperatore conosceva anche le disposizioni, sviluppate successivamente e fissate nel Corano, circa la guerra santa. Senza soffermarsi sui particolari, come la differenza di trattamento tra coloro che possiedono il "Libro" e gli "increduli", egli, in modo sorprendentemente brusco, si rivolge al suo interlocutore semplicemente con la domanda centrale sul rapporto tra religione e violenza in genere, dicendo: "Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava". L'imperatore spiega poi minuziosamente le ragioni per cui la diffusione della fede mediante la violenza è cosa irragionevole. La violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell'anima. "Dio non si compiace del sangue; non agire secondo ragione (σὺν λόγω) è contrario alla natura di Dio. La fede è frutto dell'anima, non del corpo. Chi quindi vuole condurre qualcuno alla fede ha bisogno della capacità di parlare bene e di ragionare correttamente, non invece della violenza e della minaccia… Per convincere un'ani¬ma ragionevole non è necessario disporre né del proprio braccio, né di strumenti per colpire né di qualunque altro mezzo con cui si possa minacciare una persona di morte…".
L'affermazione decisiva in questa argomentazione contro la conversione mediante la violenza è: non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio. L'editore, Theodore Khoury, commenta: per l'imperatore, come bizantino cresciuto nella filosofia greca, quest'affermazione è evidente. Per la dottrina musulmana, invece, Dio è assolutamente trascendente. La sua volontà non è legata a nessuna delle nostre categorie, fosse anche quella della ragionevolezza. In questo contesto Khoury cita un'opera del noto islamista francese R. Arnaldez, il quale rileva che Ibn Hazn si spinge fino a dichiarare che Dio non sarebbe legato neanche dalla sua stessa parola e che niente lo obbligherebbe a rivelare a noi la verità. Se fosse sua volontà, l'uomo dovrebbe praticare anche l'idolatria.
Sta mettendo in evidenza una contraddizione nel corano, penso in soldoni sia questo che da fastidio al mondo islamico.Quote:
Nel settimo colloquio (διάλεξις – controversia) edito dal prof. Khoury, l'imperato¬re tocca il tema della jihād (guerra santa). Sicuramente l'imperatore sapeva che nella sura 2, 256 si legge: "Nessuna costrizione nelle cose di fede". È una delle sure del periodo iniziale in cui Maometto stesso era ancora senza potere e minacciato. Ma, naturalmente, l'imperatore conosceva anche le disposizioni, sviluppate successivamente e fissate nel Corano, circa la guerra santa. Senza soffermarsi sui particolari, come la differenza di trattamento tra coloro che possiedono il "Libro" e gli "increduli", egli, in modo sorprendentemente brusco, si rivolge al suo interlocutore semplicemente con la domanda centrale sul rapporto tra religione e violenza in genere, dicendo: "Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava". L'imperatore spiega poi minuziosamente le ragioni per cui la diffusione della fede mediante la violenza è cosa irragionevole. La violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell'anima. "Dio non si compiace del sangue; non agire secondo ragione (σὺν λόγω) è contrario alla natura di Dio. La fede è frutto dell'anima, non del corpo. Chi quindi vuole condurre qualcuno alla fede ha bisogno della capacità di parlare bene e di ragionare correttamente, non invece della violenza e della minaccia… Per convincere un'ani¬ma ragionevole non è necessario disporre né del proprio braccio, né di strumenti per colpire né di qualunque altro mezzo con cui si possa minacciare una persona di morte…".
e se a questa domanda il papa risponde come la pensa veramente che succede?
Quote:
Originally Posted by Mohamed Habib, numero due dei Fratelli musulmani
se risponde la verità succede un casino, se deve rispondere per far contenti i musulmani spero stia zitto
Io non discuto sul fatto che abbia ragione. Discuto sul fatto che un fedele islamico, ignorante e facile da circuire, non riesca nemmeno a capire che il corano altro non è che un testo come la bibbia, un ammasso di scritture accumulatesi nel tempo.
Loro dicono che il corano è stato scritto una volta soltanto e poi mai più toccato ! Si certo, se ci mettiamo di mezzo bisanzio, jihad sure e vecchio testamento si vedono già n periodi diversi nello stesso libro.
A tal proposito, bello il discorso, ma avventato.
Ma alkabar da cosa ho capito non è minimamente contro il papa , o meglio contesta che sapendo di aver a che fare con delle mandrie di idioti (e decontestualizzare mi pare vada abbastanza di moda in questo nuovo millennio) si dovrebbe fare in modo di essere inattaccabili da ogni punto di vista ogni volta che si parla.Basta una cazzatina minima , anche se il contenuto è condivisibile al 100% a far sembrare tutto in dramma epico.
No, non è quello.
Quello che ha dato fastidio è stata la citazione in cui Manuele II dice: "Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava".
Questo passo ha dato fastidio perchè chi l'ha letto in Turchia e nei paesi arabi ha voluto intendere che questo fosse il pensiero del papa. Così non è, visto che prima e dopo è lo stesso papa a precisare.
Insomma, hanno voluto far dire al papa "Maometto era un assassino contro Dio". Tra l'altro, questo è stato fatto prima che il testo fosse tradotto in arabo, quindi quando la gran parte della popolazione non poteva conoscerlo direttamente.
Ecco perchè è pretestuosa è scorretta la loro indignazione.
cioè..da fastidio questo ?
"La violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell'anima. "Dio non si compiace del sangue; non agire secondo ragione (σὺν λόγω) è contrario alla natura di Dio. La fede è frutto dell'anima, non del corpo. Chi quindi vuole condurre qualcuno alla fede ha bisogno della capacità di parlare bene e di ragionare correttamente, non invece della violenza e della minaccia… Per convincere un'ani¬ma ragionevole non è necessario disporre né del proprio braccio, né di strumenti per colpire né di qualunque altro mezzo con cui si possa minacciare una persona di morte…"
e Mohamed Habib, numero due dei Fratelli musulmani risponde
"l'islam che è una religione divina basata sulla tolleranza, la pace, la coesistenza e la fratellanza, il diritto e la giustizia"
sarò cieco io...ma stan dicendo la stessa cosa...che la guerra santa anche nel corano non è una guerra FISICA ma una guerra SPIRITUALE, che la pace, la tolleranza e la coesione sono principi sia dell'Islam che del Cristianesimo.
Ora se mi dici dove ha offeso l'Islam..che io nn riesco a vederlo.
anche questo da un'idea delle motivazioni dietro l' "indignazione"Quote:
a su quale interpretazione si possono basare le proteste musulmane alle parole del Pontefice se, come ha fatto giustamente osservare Samir Khalil Samir - il noto gesuita di origine egiziana esperto di islamologia -, quasi nessuno dei suoi critici ha letto il documento incriminato, il testo della lectio magistralis pronunciata da Benedetto XVI presso l'università di Regensburg il 12 settembre? In effetti la versione inglese è stata pubblicata solo due giorni dopo e le prime notizie in arabo sull'evento parlavano, sbagliando a tradurre dall'inglese, di un discorso «tecnologico» invece che «teologico».
Il 15 settembre ancora non esisteva una traduzione in francese o in una qualsiasi delle lingue orientali e tuttavia il mondo islamico era già insorto, offeso e indignato, e pretendeva le scuse
Ti rimando al mio post precedente.
Non si discute il loro comportamento da polli, si discute sul fatto che un popolo stupido possa o meno fraintendere il discorso.
Il discorso è complesso, forse la contraddizione nel corano è addirittura passata inosservata, quello che discuto io è che ci sono degli appigli. Un demagogo che voglia ottenere un risultato, cerca di solito di far leva con discorsi di facile comprensione rivolti agli interlocutori. Io scomponendo il discorso e leggendolo ho pensato che a una mente semplice poteva sembrare una provocazione.
Pensaci, te c'hai una mente sicuramente allenata, prova a metterti nei panni di uno che non ne sa quasi nulla. E' un esercizio che un demagogo deve saper fare.
Non so dire però se c'è poca o molta demagogia in tutto ciò.
alka... ma quanti pensi che l'abbian letto davvero quel discorso? qui le menti semplici non c'entrano niente, le menti semplici come dici te, son state indirizzate dalle menti "diaboliche", che a loro volta (in quanto manco gli imam probabilmente hanno letto il testo, e di sicuro non nei giorni successivi alla conferenza) sono state indirizzate dai soliti personaggi potenti e fanatici o semplicemente dai profondi interessi verso l'odio contro l'occidente che tirano le redini di tutto questo meccanismo
No,non è avventato, ha espresso una opinione.
Se loro non sono in grado di accettare un opinione (senza nemmeno capirla tra le altre cose) fanno il santo favore di stare zitti e non rompere i coglioni con minaccie,guerre ed offese e fantomatiche richieste di scusa.
Punto.
Eh, per l'appunto si doveva parare il culo tenendo un imam vicino, il difetto in tutto ciò è comunicativo, se avesse presentato il discorso assieme a un "collega", il mondo islamico avrebbe fatto i salti di gioia.
Invece sono andati a cercare le parti in cui mette in evidenza un problema per usarle e circuire il popolo ignorante.
Capito la mia posizione ? Secondo me poteva prevedere (leggendolo io ho pensato subito "qua si incazzano"), forse non è bravo demagogo come mi aspettavo :bored: che ti devo dire.
Gli interlocutori era degli studenti universitari, se poi in certi paesi , chi ha spiegato questo discorso lo ha fatto male , l'errore è soltanto loro .
E questo discorso non è finito in mano del popolino islamico ma a gente istruita che lo ha strumentalizzato aizzando i fedelissimi islamici , se non la capisci così Alka non la capirai mai.
Il testo contiene alcuni passaggi eruditi e un po' involuti, com'è nello stile accademico di Ratzinger, ma le parti stralciate e condannate sono cristalline.
Se io, in apertura di discorso, faccio una citazione premurandomi di specificare che è, appunto, una citazione, che ciò che vi si dice sorprenderebbe un lettore contemporaneo per la brutalità dell'esposizione e che quello non è il mio pensiero, nessuno ha il diritto di fraintendermi e poi reclamare scuse per qualcosa che non ho detto, minacciando di rappresaglia violenta me e milioni di persone.
Se uno, come non è stato, prosegue nella lettura, legge l'argomentazione e arriva alla fine, alle ultime due righe in cui dico che "invito al dialogo fra le culture", allora non avrà modo di risentirsi.
Quindi il problema non è nel papa che deve usare i guanti di velluto per non suscitare l'ira dei pazzi nei paesi arabi; il problema è che là fanno un uso scorretto e illegittimo di tutto ciò che noi possiamo dire o fare.
Ora mi si può dire "sapendolo, dovremmo agire perchè non si possa essere fraintesi", ma la cosa è praticamente impossibile, se, come si vede, anche le parole che non vengono da noi possono essere usate contro di noi.
Tu non hai a che fare con degli italiani che hanno fatto tutti almeno 10 anni di scuola, hai a che fare con dei popoli in cui la media è 2-3 anni di scuola....
Tra alcuni dei loro acculturati ci sono anche dei gran invasati.... spesso.
Per una volta il problema non è l'opinione, ma a chi è rivolta.
si ma io la tua posizione l'ho capita, solo che hai aperto il thread parlando di ritrattazione come se avesse detto qualcosa di sbagliato, e quindi il discorso e' partito sui contenuti
cmq anche sulla forma non son d'accordo: mi spiego, a fronte di una situazione del genere, quando le intenzioni sono evidenti e bisogna fare i salti mortali per interpretare il discorso come un attacco all'islam, pare evidente che non c'e' una forma giusta e una sbagliata.. c'e' solo da star zitti sull'islam o si offendono, e questo e' ridicolo e inaccettabile
L'ho aperto sulla ritrattazione perchè non poteva far diversamente, io c'ho scommesso sopra proprio perchè non c'era via di scampo, tutta sta vicenda porta per forza la parte più ragionevole a dover piegare la testa.
Da un verso o dall'altro la strada per comunicare deve essere diversa dalla via religiosa. Sulla religione loro sono molto permalosi, anche a torto.
1) Non ha ritrattato nulla ne ha chiesto scusa
2) Se loro non sanno capire il problema è loro non di chi si esprime..avrebbe anche potuto dire "il sole è giallo" e sarebbe insorto il mondo
E fino a che tu, si proprio tu, tieni sto atteggiamento, loro ti faranno la guerra, il terrorismo e quant'altro.
Gno gno gno! hanno sbagliato loro hanno sbagliato loro, punto punto punto. Gno.
Se non ti metti li e analizzi dov'è che devi cambiare modo di fare, te su un areo tranquillo non ci salirai mai più stanne certo.
E' un gran bel nastro di moebius tutto sto discorso.
L'ho gia scritto nell'altro post ma lo ripeto visto che il succo del discorso secondo me sta qui:
Qui sta il punto: se tu, persona intelligente e di provata cultura, sai che il tuo pensiero potrebbe essere frainteso da chi è ignorante (perchè la maggior parte delle reazioni denotano proprio questo) dovresti avere l'accortezza di scegliere la forma oltre che il contenuto.
Essere in una posizione importante comporta delle responsabilità.
O se preferite: "Da un grande potere derivano grandi responsabilità" :sneer:
Quindi sostanzialmente mi confermate che "loro là" sono a noi culturalmente inferiori e la nostra civiltà è superiore.
Tanto basta :)
(no lo specifico visto che quando "qualcuno" l'ha detto nemmeno troppo tempo fa si è scatenato un vespaio che la metà bastava)
E io ribadisco quello che detto qui, poco sopra: qualsiasi cosa diciamo, in qualsiasi educatissimo e deferentissimo modo la diciamo, questi signori si sentiranno in diritto di travisarla e usarla a loro comodo. Dobbiamo ridurci al silenzio e a non dire nulla sull'Islam, nemmeno quando riguardi il nostro rapporto con esso, cioè quando, citando alcuni momenti della nostra storia che riguardano anche l'Islam, in realtà stiamo parlando di noi e non di loro?
Dobbiamo essere così "politicamente corretti" da eliminare da ogni nostra considerazione qualsiasi appunto riguardi Maometto?
Dobbiamo censurarci preventivamente?
E, soprattutto, deve farlo un papa?
Sulla ritrattazione, ripeto che non c'è stata e non ci sono state scuse, perchè non c'è stato errore. Il papa si è rammaricato delle reazioni, cioè di come le cose che lui ha detto (di cui non rinnega una virgola) sono state trasformate e mal capite da chi ha voluto farlo.
Credo che sia abbastanza evidente che nei paesi più poveri la cultura media sia inferiore, chi afferma il contrario?
Ed è, credo, assolutamente normale avere una sensazione di superiorità per il nostro modo occidentale di intendere la civiltà.
Ma il ritenersi superiori presupponendo che gli 'inferiori' abbiano il tuo stesso livello di comprensione è una contraddizione in termini.