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queste dovrebbero essere le motivazioni della sentenza GEA, almeno parziali:
«L'applicazione del diritto penale non trova limitazioni di sorta nell'ordinamento sportivo e i reati, da chiunque commessi, restano tali anche nel mondo del calcio». Questo uno dei principali passaggi delle motivazioni della sentenza pronunciata dalla X Sezione del tribunale di Roma l'8 gennaio scorso nel processo Gea che ha visto la condanna di Luciano Moggi a un anno e sei mesi e a quella del figlio Alessandro a un anno e due mesi per il reato di violenza privata. Tutti gli altri imputati (Francesco Zavaglia, Francesco Ceravolo, Pasquale Gallo e Davide Lippi) furono assolti dalle accuse. Dal dispositivo letto dal presidente Luigi Fiasconaro cadde l'accusa per tutti gli imputati di associazione per delinquere.
ARROGANZA - Nessuna sussistenza del reato di associazione per delinquere «non solo in ragione della mancanza del numero delle persone, ma anche perché il numero, la natura e la finalizzazione di questi reati è risultata estranea a un contesto programmatico associativo, mentre è apparsa più compatibile con uno stile di vita caratterizzato da arroganza». Questo un altro dei passaggi della sentenza. I giudici parlano anche di «atteggiamento di sistematica prevaricazione nella ricerca di una costante affermazione della propria posizione di potere da parte dei due Moggi». Nelle motivazioni ci si sofferma anche su quelle che vengono definite «le capacità di sopraffazione di Luciano Moggi come la sua influenza sui dirigenti di alcune società di calcio (Franza del Messina, De Luca del Siena, Vrenna del Crotone lol.gif ) che venivano indotti a favorire i giocatori o allenatori assistiti dalla Gea». Secondo il tribunale questi atteggiamenti «non possono essere ricondotti nell'ambito di un profilo indicativo della capacità di sopraffazione di Luciano Moggi, ma si ritengono più realisticamente dimostrativi di un contesto di intreccio di affari fondati sulla reciproca disponibilità e convenienza e realizzati attraverso il metodo della cooptazione oltre le regole ossia nell'ambito di un gruppo di potere di rilievo all'interno del mondo del calcio».
DEREGULATION - «Il tribunale - si legge nella motivazione di 318 pagine gran parte delle quali dedicate alle testimonianze - ha constatato un fenomeno di generalizzata deregulation anche a cagione della scarsa attenzione e del limitato intervento degli organi direttivi e di controllo della Figc nel quale i portatori di interessi potenzialmente confliggenti hanno potuto praticare metodologie spesso di natura illegittima sotto il profilo regolamentare, semplicemente sulla base del proprio potere reale e della propria capacità di influenza nelle determinazioni delle condotte altrui, e nella singolare presunzione che quella generalizzazione e diffusione di comportamenti scorretti fosse sufficiente ad escluderne radicalmente la illiceità». Secondo il tribunale vi sono stati comportamenti che hanno travalicato anche la soglia della liceità penale «accompagnati dalla strana convinzione che anche l'applicazione dei principi elementari del diritto penale potesse o dovesse essere in qualche modo condizionata al previo conseguimento da parte delle società di calcio, degli agenti o degli stessi calciatori, dei propri personali interessi».
BLASI - Le modalità e «l'atteggiamento intimidatorio di Luciano Moggi non integra la fattispecie dell'articolo 513 (illecita concorrenza, ndr) in danno del calciatore Emanuele Blasi né le modalità che possono essere ascritte tra quelle tipiche della criminalità organizzata». È un altro dei passaggi delle motivazioni della sentenza. Nelle motivazioni si spiega che l'atteggiamento avuto dall'ex direttore generale della Juventus nei confronti di Blasi nell'ambito delle trattative per l'adeguamento del contratto dell'attuale calciatore del Napoli, allora alla Juventus, sono quelle della violenza privata. Il tribunale, sempre per la vicenda Blasi, parla di «rapporto del tutto illegittimo tra Luciano Moggi e il figlio nella gestione dei calciatori da cui lo stesso Alessandro Moggi riceveva la procura»: «Ciò che all'inizio del rapporto veniva prospettato - si legge ancora nelle motivazioni - direttamente o indirettamente, per propiziare il rilascio della procura, successivamente diventava lo strumento per la sottoposizione del giocatore alla volontà e agli specifici interessi dei Moggi che non sempre potevano o dovevano coincidere con quelli del giocatore, ma che, in caso di contrasto, si dovevano risolvere sempre a beneficio dei due imputati e in danno del giocatore che rappresentava alla fine la parte più debole del rapporto». shok.gif
AMORUSO - Stesso discorso per Nicola Amoruso: «La qualità e l'entità della minaccia rivolta al calciatore Nicola Amoruso risultano idonee a integrare il delitto di violenza privata: la prospettazione di stroncargli la carriera formulata da Luciano Moggi, accompagnata dalla sostanziale complicità di Alessandro Moggi, non rappresentava né poteva essere intesa dal giocatore come una semplice boutade o battuta di gergo calcistico o pallonaro». La X Sezione del tribunale, presieduta da Luigi Fiasconaro, parla non si semplici battute perché chi le aveva pronunciate nei confronti di Amoruso «era il direttore generale della sua società, suo datore di lavoro, ossia la persona che solo l'anno precedente aveva potuto decidere il suo ritorno nella Juventus». ...e allora ?!?
tuttosport
Gea,giudici:"Nessun clan dei Moggi"
"Non sono criminali, solo arroganti"
Alessandro e Luciano Moggi, condannati nell'ambito del processo Gea per violenza privata, non hanno messo in pratica azioni tipiche "della criminalità organizzata", ma solo "arroganza" per affermare la propria posizione di potere all'interno del mondo del calcio. Lo affermano, nella motivazione della sentenza, i giudici del tribunale di Roma, che li hanno assolti dalle accuse di illecita concorrenza e associazione a delinquere.
tgcom
una condanna per arroganza :rotfl::rotfl::rotfl::rotfl:
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