E a questo proposito ricorda un episodio dell’8 agosto del 2002, quando Travaglio avrebbe passato le sue vacanze con Giuseppe Ciuro (detto Pippo) dormendo in un residence pagato da Michele Aiello. D’Avanzo spiega che Aiello è lo stesso Aiello che verrà poi condannato a 14 anni per associazione a delinquere di stampo mafioso e che Ciuro è lo stesso sottufficiale di polizia condannato a 4 anni e 6 mesi per aver favorito Michele Aiello e per aver rivelato segreti d’ufficio utili a favorire la latitanza di Bernardo Provenzano. Il parallelismo è notevole. Perché, da un lato c’è Travaglio che in tv ricorda i rapporti di Schifani con persone poi condannate per mafia. Dall’altra, invece, c’è D’Avanzo che ricorda i rapporti di Travaglio con persone poi condannate per mafia. “Ditemi ora chi può essere tanto grossolano o vile da attribuire all’integrità di Marco Travaglio un’ombra, una colpa, addirittura un accordo fraudolento con il mafioso e il suo complice?”, si chiede D’Avanzo che incalza Travaglio puntandogli contro lo stesso meccanismo con cui il corsivista dell’Unità costruisce nei suoi libri e nei suoi interventi il parametro di giudizio per identificare cosa è vero, cosa è falso, cosa è giusto e cosa è sbagliato. “Un fatto ci indica sempre una verità?”, si chiede D’Avanzo. No, naturalmente: Travaglio non è un mafioso per il semplice fatto che ha frequentato persone che sarebbero state condannate per mafia e le parole contenute in un brogliaccio di polizia, come Travaglio ovviamente sa, sono il resoconto di un fatto, non “la verità da scagliare contro qualcuno"