Tratto dall'omonimo videogioco di marca Sega (in cui si impugna una pistola finta e si spara agli zombi che affollano lo schermo), 'House of the Dead' segue un gruppo sparuto di giovani diretti ad un rave (“il rave del secolo“; peccato che alla festa si vedano sì e no trenta persone...) che si svolge su un'isola abitata da morti viventi.
Questo film di Uwe Boll è ignobile; brutto da lasciare sbalorditi ma privo delle caratteristiche che potrebbero farlo considerare come un classico “so bad it's good“ (gli shithounds - i segugi da stronzatona - sono avvisati).
Vediamo in dettaglio cosa c'è che non va.
La sceneggiatura non esiste. Una trama come quella proposta qualche riga fa può essere concepita in cinque minuti e i dialoghi passano dall'inconsistente all'imbarazzante, con punte di ridicolo raggiunte da scene come quella in cui i sopravvissuti discutono dell'orrore che li circonda (con perle come - cito a memoria - “Cosa sono quei cosi???“ (ma qui è anche colpa dell'adattamento), “Ci deve essere una spiegazione scientifica!“, “No, quelli sono zombi; prima ce ne facciamo una ragione e prima potremo trovare il modo per sopravvivere“).
Lo script mette in scena anche luoghi comuni del cinema d'orrore che pensavo nel 2004 nessuno avesse più il coraggio di proporre, come la classica situazione ragazza e ragazzo appartati, lui che dice “torno subito“, il mostro di turno che arriva e lei che esclama “hey, mi fai paura, smettila!“ un attimo prima di rendersi conto che - sorpresa! - quell'ombra minacciosa e muta non è il suo ragazzo!
Ma come cazzo si fa?
Il film fallisce anche sul piano tecnico, con una fotografia ignobile, un montaggio raffazzonato (va detto per amor di giustizia che con il materiale che deve aver fornito Uwe Boll si sarebbe trovato in difficoltà persino un montatore come Pietro Scalia...) ed effetti di make-up degni di un horroraccio italiano a budget zero. La colonna sonora è il solito tripudio di canzonacce da buzziconi, gli effetti visivi - con un trionfo di finti bullet-time - sono ignobili e il valore della scenografia può essere riassunto da un patetico laghetto coperto dalla nebbiolina e da bolle che fanno “blub blub blub“. Roba che neanche nei film di Ed Wood.
Il regista ha avuto anche la brillante idea di annullare la differenza tra film e videogioco inserendo brevi spezzoni tratti direttamente dal gioco della Sega: l'espediente - finché viene utilizzato come transizione da una scena all'altra - non crea grossi fastidi, ma quando (dopo metà film) le stesse immagini sono montate come parte integrante della sequenza, in sostituzione del girato dal vivo, non si può non rimanere sconcertati di fronte a tanta pochezza.
L'apoteosi, lo zenit della stronzaggine globale di 'House of the Dead' viene raggiunto nella scena in cui i superstiti al massacro danno l'assalto all'unico rifugio possibile dell'isola, e armati fino ai denti iniziano a sparare agli zombi: in questa sequenza Uwe Boll scatena la sua inettitudine saturando la scena di inquadrature che vorrebbero disperatamente essere “cool“ ma che risultano soltanto essere un plateale sfoggio di mancanza di gusto e senso della misura, una baracconata puerile che stupisce soltanto perché non si pensava si potessero oltrepassare certi limiti di decenza.
Il film, insomma, sembra girato da un ragazzino un po' coglione che ha avuto accesso (non si sa come) ad una troupe cinematografica disposta a dargli retta.
Mi chiedo come sia stato possibile per l'attore Jurgen Prochnow ('U-Boot 96', 'Il seme della follia') finire in una tale puttanata. I governi di tutte le nazioni del mondo dovrebbero istituire una sorta di “colletta legale“ in cui poter riversare una somma qualsiasi da destinare ad un artista bisognoso di soldi, in modo da evitargli di fare a pezzi un passato glorioso (in caso ce ne fosse uno) prendendo parte a simili obbrobbri solo per poter pagare le bollette. Jurgen, il gas te lo pago io, bastava chiedere.
Il problema, però, è a monte: trarre film dai videogiochi è un'operazione che ha un senso fino a quando la fonte dell'ispirazione è già provvista di un minimo di trama e atmosfera in grado di reggersi in maniera autosufficiente, in modo da rendere l'adattamento filmico quasi un'estensione naturale dell'esperienza ludica; una semplice traduzione “dal vero“, insomma, la cui riuscita dipende dall'uso che il regista di turno è in grado di fare sul materiale d'origine. Quando però - come in questo caso - si parte da un gioco da cui è impossibile trarre il minimo spunto, un videogame che consiste unicamente nel puntare una pistola di plastica verso uno schermo e sparare fino a quando le falangi del dito indice non si bloccano doloranti, ecco che il risultato è abbandonato totalmente nelle mani dell'autore, al punto che non ha praticamente più senso parlare di “adattamento“. “Adattamento“ di cosa? Di quale trama? Di quale contesto? Di quale microcosmo? Dov'è l'impianto “chiavi in mano“ fornito dal videogioco 'House of the Dead'? In alcuni casi è già tutto pronto: 'Tomb Raider' è un Indiana Jones con due tette enormi e un culo fantastico che viaggia per il mondo alla ricerca di reliquie, stermina la fauna di ogni nazione visitata, spara a tutto quello che si muove, si arrrampica sui palazzi ed ha un villone pieno di divertimenti. 'Resident Evil' è una cittadina intera in mano ai morti viventi, con un manipolo di sopravvissuti costretto a girare ogni angolo con il terrore di essere assalito da mostri orrendi, camminando lungo strade devastate e deserte in cui riecheggiano lamenti spettrali ed ululati sinistri.
'House of the Dead' è... tu che spari agli zombi. Punto. E Uwe Boll, invece di spremersi un minimo per creare un qualcosa - qualsiasi cosa - che potesse avere a che fare con i non-morti, si è limitato a portare sullo schermo una traduzione “live“ del concetto “tu che spari agli zombi“. Wow...
Se il regista avesse almeno evitato di dare all'opera un'impronta personale il film si sarebbe risolto in un innocuo e insulso passatempo; così com'è, invece, grondante estetica da videoclip da due soldi e citazionismo spicciolo e ruffiano (si nomina la trilogia di Romero tanto per far vedere che gli autori “sono dei nostri“), 'House of the Dead' riesce ad entrare a far parte di quella categoria ristretta di cagate allucinanti che potrebbero farvi esclamare la fatidica “è uno dei film più brutti che abbia mai visto“.
Nella mia vita ne ho viste di stronzate che voi umani non riuscireste neanche ad immaginarvi, e il film di Uwe Boll è riuscito a colpirmi per la sua sconcertante merdosità. Vi assicuro che per raggiungere un simile risultato ce ne vuole...