Il tuo problema è che metti il giudizio altrui al primo posto: chi cerca in qualsiasi modo di diventare qualcuno deve accettare però anche l'altra faccia della medaglia, cioè che
non si è nessuno, perlomeno ai propri occhi.
Sono 2 sfere totalmente diverse, il tuo paragone è decisamente insensato. Non puoi decidere arbitrariamente ciò che è meglio tra il vivere ed il non vivere, poiché il non vivere esclude per assioma la vita, e conseguentemente le sensazioni, le idee ed i sentimenti terreni. L'istante dopo la morte è tutto finito. Ricordi, pensieri... Tabula rasa; non sarebbe quindi possibile nemmeno pensabile il paragonare uno stato di vita ad uno di non vita, perché non vivendo non si sarebbe in grado di analizzare la non-vita secondi i criteri vitali sui quali formuli il tuo pensiero.
Questo senza ombra di dubbio, ma il modo di rapportarsi a questa situazione è radicalmente cambiato: se nel basso medioevo era comunemente accettata la divisione della società nelle 3 caste oratores, bellatores, laboratores, poiché imposta da Dio (*); solamente secoli dopo la cultura e l'idea di dinamismo, di mobilità permeerà tra i ceti sociali meno abbienti, e farà muovere i primi timidi passi della cosiddetta "lotta di classe". Oggi grazie ai mezzi di informazione ed a una cultura spalmata in modo più omogeneo tra la popolazione, colui che secoli fa non poteva nemmeno concepire un cambiamento nella società (l'idea di dinamismo sociale o
cosecutio temporum non esisteva proprio in quel periodo), oggi è ben consapevole delle possibilità e dei piaceri che può offrire il mondo, indi per cui il suo modo di rapportarsi al suo status sociale è molto differente.
(*):
