Corte Costituzionale SENTENZA N. 257 ANNO 2006
Preliminarmente, occorre ribadire che tra le finalità che la Costituzione assegna alla pena – da un lato, quella di prevenzione generale e difesa sociale, con i connessi caratteri di afflittività e retributività, e, dall'altro, quelle di prevenzione speciale e di rieducazione, che tendenzialmente comportano una certa flessibilità della pena in funzione dell'obiettivo di risocializzazione del reo – non può stabilirsi a priori una gerarchia statica ed assoluta che valga una volta per tutte ed in ogni condizione» (v. la sentenza n. 306 del 1993). Le differenti contingenze, storicamente mutevoli, che condizionano la dinamica dei fenomeni delinquenziali, comportano logicamente la variabilità delle corrispondenti scelte di politica criminale che il legislatore è chiamato a compiere: così da dar vita ad un sistema normativamente “flessibile”, proprio perché potenzialmente idoneo a plasmare i singoli istituti in funzione delle diverse esigenze che quelle scelte per loro natura coinvolgono. Da qui l'impossibilità di stabilire, ex ante, un punto di equilibrio dogmaticamente “cristallizzato” tra le diverse funzioni che il sistema penale, nel suo complesso, è chiamato a soddisfare nel quadro dei valori costituzionali; e, quindi, la impossibilità, anche, di censurare, in astratto, opzioni normative, sol perché di tipo “repressivo” rispetto al quadro preesistente, o, all'inverso, perché ispirate ad un maggior favor libertatis. «Il legislatore può cioè – nei limiti della ragionevolezza – far tendenzialmente prevalere, di volta in volta, l'una o l'altra finalità della pena, ma a patto che nessuna di esse ne risulti obliterata» (v. ancora la sentenza n. 306 del 1993)