La Repubblica di El Salvador è diventata il primo stato al mondo a dare corso legale al bitcoin. Nella notte di martedì, il parlamento del paese centroamericano ha approvato con 62 voti su 84 la proposta del presidente Nayib Bukele, resa nota da lui stesso lo scorso fine settimana con un video mostrato alla Bitcoin 2021 conference, un raduno mondiale di personalità importanti nel mondo delle criptovalute tenutosi quest’anno a Miami.
La legge entrerà in vigore 90 giorni dopo la pubblicazione in gazzetta ufficiale e rappresenta un esperimento monetario senza precedenti, che potrebbe avere implicazioni molto importanti sia sulle sorti del bitcoin, sia sull’economia del paese, dove al momento la valuta legale è il dollaro americano. Quest’ultimo manterrà comunque il suo corso legale e sarà la valuta di riferimento per la rendicontazione dei bilanci. El Salvador avrà insomma due valute.
Dare corso legale a una valuta significa renderne obbligatoria l’accettazione come mezzo di pagamento. La legge approvata contiene questa imposizione, pur escludendo chi non abbia accesso alla tecnologia necessaria per accettare criptovaluta. Prevede poi che tutti i debiti espressi in dollari ancora in sospeso possano essere saldati in bitcoin e dà la possibilità ai contribuenti di pagare le tasse in bitcoin. Inoltre, sancisce che il prezzo di qualsiasi prodotto o servizio possa essere espresso in bitcoin, il che renderà la criptovaluta un’unità di conto ufficiale nel paese (anche se, data la forte volatilità corrente del prezzo del bitcoin nei confronti del dollaro, al momento è difficile che qualsiasi commerciante voglia prezzare i propri prodotti in criptovaluta).
Con questa legge, lo stato di El Salvador si impegna poi a garantire ai suoi residenti la conversione automatica e istantanea tra bitcoin e dollari, in modo che chiunque riceva bitcoin come pagamento possa convertirli subito in dollari (evitando così il rischio che la somma ottenuta in bitcoin perda valore, nel caso che il prezzo del bitcoin in dollari calasse molto rapidamente subito dopo la transazione), o viceversa.
Le ragioni della proposta diventata legge sono numerose.
Prima di tutto, bisogna sapere che una buona parte delle entrate della Repubblica di El Salvador è costituita da rimesse di cittadini emigrati, cioè dai soldi che gli emigrati salvadoregni inviano alle proprie famiglie in patria dai paesi in cui si sono trasferiti per sostenerle economicamente. Per avere un’idea della grandezza del fenomeno: El Salvador ha 6,5 milioni di abitanti e un prodotto interno lordo annuale di 27 miliardi di dollari; gli emigrati salvadoregni nel mondo (che solo negli Stati Uniti sono 2,2 milioni, un terzo di quelli rimasti in patria) inviano nel paese circa 6 miliardi di dollari ogni anno, cifra che rappresenta il 22 per cento del PIL: più di un quinto. Si stima che circa un terzo delle famiglie salvadoregne riceva un sostegno finanziario di questo tipo.
Queste transazioni internazionali sono molto costose: le commissioni possono arrivare al 20 per cento della somma inviata. Questo significa che centinaia di milioni di dollari l’anno finiscono nelle casse degli intermediari invece che arrivare a famiglie che evidentemente ne hanno bisogno. Il presidente di El Salvador sostiene che dare la possibilità agli emigrati di trasferire questi fondi in bitcoin abbasserà i costi di transazione, lasciando più soldi a disposizione delle famiglie bisognose.
Questo al momento potrebbe essere vero, ma bisogna tenere conto del fatto che anche per trasferire bitcoin si pagano commissioni e che queste sono molto variabili. I miners, cioè coloro che vidimano le transazioni in bitcoin, guadagnano anche attraverso una commissione e danno priorità alle transazioni che offrono una commissione più alta. In momenti di forte congestionamento della rete, cioè quando arrivano molte richieste di transazione in un breve lasso di tempo, questo meccanismo fa sì che le commissioni salgano a parità di tempo d’attesa (non dipendono invece dall’importo inviato). Al momento comunque, inviare una qualsiasi quantità di bitcoin in un’ora costa circa un dollaro, mentre se si aspettano 24 ore si spenderanno circa 13 centesimi. Perciò quel che sostiene il presidente di El Salvador attualmente ha senso, a meno che non si vogliano inviare molto in fretta somme molto basse.
Un secondo motivo per dare corso legale al bitcoin è legato a ragioni di politica monetaria. El Salvador è quella che si chiama un’economia dollarizzata, cioè uno stato che ha deciso di adottare il dollaro come valuta legale. Nel 2001, El Salvador ha sostituito il colòn salvadoregno con il dollaro dopo averlo ancorato al suo valore per sette anni (ancorare la propria valuta a un’altra significa assicurare ai cittadini un cambio fisso tra le due).
La decisione di legare la propria valuta al dollaro, di affiancarla o addirittura di sostituirla, di solito viene presa dopo una grossa crisi economica seguita da iperinflazione, cioè da un fortissimo aumento dei prezzi nel breve periodo. L’iperinflazione rende molto instabile il valore della moneta locale, la quale perciò non può più essere usata come mezzo di scambio perché le persone non si fidano ad accettarla in cambio di merci o servizi. Perciò il governo si ritrova costretto a usare una valuta più credibile, il cui valore sia relativamente stabile.
Questo però non fu il caso di El Salvador, che dopo la guerra civile finita nel 1992 riuscì a controllare la propria inflazione, e dal 1993 al 2000 fece crescere il proprio PIL del 4,4 per cento all’anno in media. Il governo di El Salvador scelse la dollarizzazione per ragioni diverse: voleva attirare investimenti dagli Stati Uniti, e pensò che ne avrebbe attratti di più se avesse eliminato il rischio di cambio per gli investitori sostituendo la propria valuta col dollaro. Il piano non funzionò, perché per attrarre gli investitori di un paese non basta usare la loro stessa moneta: serve anche stabilità sociale, cosa che El Salvador non poteva offrire dato il suo alto tasso di criminalità.
Anche in conseguenza del fallimento di questo piano, la crescita economica del paese da allora è cambiata poco (è passata dall’1,1 per cento del 2000 al 2,4 per cento del 2019). E oltre a non aver avuto gli effetti sperati, la dollarizzazione ha tolto a El Salvador la propria sovranità monetaria, cioè la capacità di influenzare l’economia decidendo quanta moneta mettere in circolo.
Per far crescere l’economia di un paese, un governo ha due strumenti: la politica fiscale (cioè la determinazione di tasse e spesa pubblica) e quella monetaria. El Salvador ha rinunciato alla seconda: usando solo il dollaro, il paese deve accettare le politiche monetarie dettate dalla banca centrale degli Stati Uniti, la FED, che vengono decise con obiettivi che non tengono per nulla in considerazione l’economia salvadoregna. Questo costituisce un rischio per il governo di Bukele, soprattutto in questo momento storico.
Nell’ultimo periodo infatti, per alleviare la crisi economica dovuta alla pandemia negli Stati Uniti, la FED ha messo in circolo quantità di dollari mai viste. Questo (assieme ad altri fattori) sta facendo aumentare l’inflazione non solo negli Stati Uniti, ma anche in El Salvador, dove ad aprile i prezzi sono saliti del 2,79 per cento rispetto allo stesso mese di un anno fa.
Ecco quindi l’idea di Bukele: dipendere meno dalla FED affiancando al dollaro il bitcoin, la cui emissione non è legata alle decisioni della banca centrale di un paese straniero, ma avviene a una velocità predeterminata da un algoritmo (quindi prevedibile) e decrescente nel tempo. Inoltre, il numero di bitcoin è predefinito: si arriverà a un massimo di 21 milioni di bitcoin nell’anno 2140, quando tutti saranno estratti. Questo lo differenzia da qualsiasi altra valuta tradizionale, che può essere stampata a piacimento da una banca centrale.
Dipendere meno dalla FED non vuol dire però avere una sovranità monetaria. Con questa legge, il governo di Bukele continua a non avere uno strumento di politica monetaria con cui regolare la quantità di denaro circolante nell’economia. Questo rimane un rischio: se (molto ipoteticamente) la FED invertisse la propria politica e togliesse dollari dalla circolazione in quantità massicce e allo stesso tempo il valore del bitcoin continuasse a salire come ha fatto dalla sua creazione, il paese potrebbe sperimentare una deflazione (cioè un abbassamento dei prezzi) su cui non avrebbe controllo. Questo potrebbe frenare i consumi (perché quando c’è deflazione le persone tendono a rimandare i propri acquisti, sperando di pagarli meno in futuro) e innescare una crisi.
L’operazione perciò non elimina i rischi che il paese corre non avendo una sovranità monetaria: diciamo che li mitiga.
Probabilmente, Bukele pensa di controbilanciare questi rischi con le opportunità che la legge potrebbe generare. Oltre a dare corso legale al bitcoin infatti, il piano di Bukele prevede di far diventare El Salvador una specie di paradiso per società e investitori attivi nell’industria delle criptovalute. In un tweet recente, il presidente ha in effetti elencato una serie di ragioni per cui queste persone e società dovrebbero spostare le proprie attività nel piccolo paese sulle coste del Pacifico: ottimo meteo, spiagge perfette per il surf, nessuna tassa patrimoniale, nessuna imposta sui guadagni da bitcoin dal momento che sarà valuta legale e una promessa di residenza permanente e immediata agli imprenditori del settore.
Insomma, con questa legge il governo spera di far aumentare i soldi in arrivo dagli emigrati, ridurre la propria dipendenza dalla FED e avviare un ecosistema che attiri investitori e imprese (con i relativi capitali) nel paese. Per quanto riguarda il bitcoin, la legge crea un precedente che potrebbe essere emulato da altri paesi in situazioni simili in caso desse i risultati sperati in El Salvador. Questo avrebbe l’effetto di allargare il bacino di utenza di questa tecnologia, consolidandone anche la reputazione. Dalla notizia dell’approvazione della legge, il prezzo del bitcoin in dollari è salito del 3,7 per cento.