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Thread: Welby è morto

  1. #46
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    Quote Originally Posted by Edeor View Post
    Beh guarda in paesi come l'Olanda, che probabilmente ha la normazione più evoluta in tema di eutanasia, non è che se uno sia alza la mattina e decide di morire lo può fare. Il procedimento è abbastanza complesso e servono molti requisiti e a differenza di quanto qualcuno afferma la % delle richieste accolte è molto bassa. Ed è anche prevista una specifica disciplina per le malattie psicologiche e relativa richiesta di eutanasia, ma qui il discorso è più ampio perché tra il malato per così dire semplice e il depresso c'è una differenza non da poco che tocca la capacità di intendere e di volere che meriterebbe una lunga riflessione.

    In realtà il problema va affrontato in un modo delicato perché il concetto di eutanasia va legato soprattutto ad un concetto di qualità di vita e non di morte, ovunque esiste una legislazione sul tema il punto essenziale è l'impossibilità di garantire altrimenti una quanto meno accettabile qualità di vita. Bisogna allontanarsi dagli estremi, ovvero l'attaccamento alla vita a tutti i costi e così come trattare la vita come fosse una cosa come le altre.

    L'accanimento teraupetico è un altro discorso, perché non si parla più di diritto alla morte ma di diritto rifiutare le cure che è un diritto costituazionale,, ma anche qui c'è sempre il concetto di qualità di vita, se non ricordo male il codice deontologico parla di mezzi sproporzionati/straordinari che non comportano miglioramenti e/o peggiorano la qualità della vita. Nel caso concreto mi domando se possa essere definita qualità accettabile il rimanere fisso immobile in un letto per giunta con una possibilità di comunicare anche motlo ridotta.
    Ecco, altri punti interessanti.

    Sull'accanimento terapeutico, a quanto pare, i giudici hanno deciso che non c'era, perché la cura non era sproporzionata rispetto alla malattia. E infatti Welby era vivo e poteva fare la sua battaglia per l'eutanasia in modo forte e in prima persona.
    Sembra che abbiano anche posto il problema della definizione certa di "accanimento terapeutico", perché il caso Welby solleva il problema del ruolo della percezione del paziente rispetto alla cura. Se io fossi malato di SLA e, curato come Welby, ritenessi quelle cure eccessive, mentre il medico, secondo la sua esperienza e il suo parere tecnico, le ritiene utili a mantenermi in vita in condizioni ancora attive (per quanto possibile), sarebbe accanimento terapeutico? E se un altro paziente, con la stessa malattia e sottoposto alle stesse cure (prendiamo Jason Becker, per esempio), non le ritenesse eccessive? I termini per la definizione di "accanimento terapeutico" vengono dal paziente o dalla scienza?

    L'altro punto più alto: la qualità della vita.
    Uno stato deve decidere su queste materie in base al principio della difesa della vita in quanto tale o in base a quello della fissazione di uno standard qualitativo minimo?
    Quella di Welby, mentre si esprimeva sui giornali e dava modo di discutere di questi temi, era vita degna o no?

  2. #47
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    *

    mi dispiace per il medico che ora passerà dei guai seri con la giustizia...
    Spoiler


  3. #48
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    Quote Originally Posted by Palur View Post
    ehbè
    Ah. Qua però c'entra poco.
    Comunque, brevemente: l'arte si è staccata dal suo valore tecnico (techne è arte, in Greco Antico) e si è allacciata a una metafisica individualistica. Al posto di un Caravaggio, c'è un Pollock, non so se mi spiego...

  4. #49

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    E' un accordo politico, andiamo a votare ogni 5 anni proprio per questo, per eleggere dei tizi più intelligenti di noi che trovino un accordo in base al quale decidere fin dove bisogna spingersi con le cure mediche fino a che punto è giusto tenere in vita un persona che sta evidentemente soffrendo.
    E' una decisione che non spetta ne al medico ne al paziente.

  5. #50
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    Quote Originally Posted by ghs View Post
    Ecco, altri punti interessanti.
    Sull'accanimento terapeutico, a quanto pare, i giudici hanno deciso che non c'era, perché la cura non era sproporzionata rispetto alla malattia. E infatti Welby era vivo e poteva fare la sua battaglia per l'eutanasia in modo forte e in prima persona.
    Sembra che abbiano anche posto il problema della definizione certa di "accanimento terapeutico", perché il caso Welby solleva il problema del ruolo della percezione del paziente rispetto alla cura. Se io fossi malato di SLA e, curato come Welby, ritenessi quelle cure eccessive, mentre il medico, secondo la sua esperienza e il suo parere tecnico, le ritiene utili a mantenermi in vita in condizioni ancora attive (per quanto possibile), sarebbe accanimento terapeutico? E se un altro paziente, con la stessa malattia e sottoposto alle stesse cure (prendiamo Jason Becker, per esempio), non le ritenesse eccessive? I termini per la definizione di "accanimento terapeutico" vengono dal paziente o dalla scienza?
    L'altro punto più alto: la qualità della vita.
    Uno stato deve decidere su queste materie in base al principio della difesa della vita in quanto tale o in base a quello della fissazione di uno standard qualitativo minimo?
    Quella di Welby, mentre si esprimeva sui giornali e dava modo di discutere di questi temi, era vita degna o no?

    Il giudice ha si stabilito di non trovarsi di fronte ad un accanimento teraupetico ma il punto è che base gli ha offerto il legislatore per arrivare a ciò? Nessuna, al di là di un'estensione maggiore o minore del concetto di accanimento terapeutico la cosa che mi fa pensare è che i parlamentari se ne siano lavati le mani come nulla fosse pur essendo ben coscenti di quanta incertezza c'è in manteria. Il concetto di accanimento teraupetico è ancorato alla definizione di mezzo sproporizionato rispetto a risultati, miglioramenti e qualità della vita. Ovviamente non èla persona a decidere se una cosa è sproporzionata o meno e neanche il singolo medico ma la prassi e i precedenti, ad esempio un cura invasiva e distruttiva con scarissime possibilità di miglioramento minimo non lo definirei mezzo proporizionato, fermo restando che poi deve essere la persona in base alle proprie convinzioni a decidere il da farsi una volta sconfinato nell'accanimento teraupetico accertato con i criteri sopra detti.

    C'è da considerare che la nostra Costituzione sancisce il diritto di rifiutare le cure e che poi è il legislatore ordinario a mettere dei limiti, ti rigiro la domanda allora fino a che punto lo Stato può derogare a questo diritto? Ad esempio una persona può rifiutare un intervento di amputazione di un arto anche se c'è comporta la morte ( mi sembra che di recente c'è stato anche un caso simile ) perché dunque qui si può rifiutare e nel caso dell'accanimento teruapetico no? Perché dunque il legislatore per tutelare la salute non impone a tutti il vaccino contro l'influenza o la chemio a tutti i malati di cancro?

    La qualità della vita è proprio quel limite oltre il quale lo Stato non deve andare perché significa umiliare la persona, constringerla a subire una situazione per lei assurda, insopportabile e dolorosa, farle rimpiangere amaramente ciò che è stato rispetto a ciò che è. Lo Stato deve si difendere la vita ma ti chiedo che differenza esiste tra difendere la vita e attaccarsi ad essa in tutti i modi?

  6. #51
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    Quote Originally Posted by ghs View Post
    L'altro punto più alto: la qualità della vita.
    Uno stato deve decidere su queste materie in base al principio della difesa della vita in quanto tale o in base a quello della fissazione di uno standard qualitativo minimo?
    Quella di Welby, mentre si esprimeva sui giornali e dava modo di discutere di questi temi, era vita degna o no?
    Il punto sta proprio qui, io personalmente non ci vedo niente di degno a passare 9 anni inchiodato ad un letto, parlando con gli occhi, incapace di fare altro che stare li sdraiato e guardare...

  7. #52
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    Quote Originally Posted by powerdegre View Post
    Il punto sta proprio qui, io personalmente non ci vedo niente di degno a passare 9 anni inchiodato ad un letto, parlando con gli occhi, incapace di fare altro che stare li sdraiato e guardare...

    *
    frega 0 se la mia squadra ha gli scarpari in campo ma ha il bilancio in pari onestamente, io pago l'abbonamento per vedere una bella squadra giocare a calcio, non per fappare sul bilancio in pari.
    In mancanza di regole è così è inutile girarci intorno, chi lo fa è solo perchè non vince un cazzo e deve attaccarsi a qualcosa..

  8. #53
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    Quote Originally Posted by Edeor View Post
    Il giudice ha si stabilito di non trovarsi di fronte ad un accanimento teraupetico ma il punto è che base gli ha offerto il legislatore per arrivare a ciò? Nessuna, al di là di un'estensione maggiore o minore del concetto di accanimento terapeutico la cosa che mi fa pensare è che i parlamentari se ne siano lavati le mani come nulla fosse pur essendo ben coscenti di quanta incertezza c'è in manteria. Il concetto di accanimento teraupetico è ancorato alla definizione di mezzo sproporizionato rispetto a risultati, miglioramenti e qualità della vita. Ovviamente non èla persona a decidere se una cosa è sproporzionata o meno e neanche il singolo medico ma la prassi e i precedenti, ad esempio un cura invasiva e distruttiva con scarissime possibilità di miglioramento minimo non lo definirei mezzo proporizionato, fermo restando che poi deve essere la persona in base alle proprie convinzioni a decidere il da farsi una volta sconfinato nell'accanimento teraupetico accertato con i criteri sopra detti.
    C'è da considerare che la nostra Costituzione sancisce il diritto di rifiutare le cure e che poi è il legislatore ordinario a mettere dei limiti, ti rigiro la domanda allora fino a che punto lo Stato può derogare a questo diritto? Ad esempio una persona può rifiutare un intervento di amputazione di un arto anche se c'è comporta la morte ( mi sembra che di recente c'è stato anche un caso simile ) perché dunque qui si può rifiutare e nel caso dell'accanimento teruapetico no? Perché dunque il legislatore per tutelare la salute non impone a tutti il vaccino contro l'influenza o la chemio a tutti i malati di cancro?
    La qualità della vita è proprio quel limite oltre il quale lo Stato non deve andare perché significa umiliare la persona, constringerla a subire una situazione per lei assurda, insopportabile e dolorosa, farle rimpiangere amaramente ciò che è stato rispetto a ciò che è. Lo Stato deve si difendere la vita ma ti chiedo che differenza esiste tra difendere la vita e attaccarsi ad essa in tutti i modi?
    Che la legge non abbia aiutato i giudici è vero. Infatti sono anche loro a chiedere che lo stato chiarisca. Ma è proprio questo il problema: in che direzione? Su quali principi?
    Sul rifiuto delle cure, io non conosco bene la cosa, nè nei suoi aspetti medici, nè in quelli giuridici, mi limito a osservarla e a ragionarci su. Mi faccio, appunto, domande sul problema della concessione di un diritto e su quali limiti debba porsi lo stato nel confronti del cittadino. Però so che la ragione dell'esistenza degli stati moderni, dal 1948 in poi, è la condivisione di un principio etico, che genera la possibilità stessa dell'accettazione dell'autorità dello stato e della convivenza fra i cittadini. Questo principio fondamentale è il diritto del cittadino alla vita, senza distinzione di qualità.
    Se noi pensiamo che una vita ridotta o breve, condotta da un letto di ospedale o da una sedia a rotelle, sia una vita senza dignità, allora dobbiamo essere disposti a definire uno standard minimo accettabile di qualità della vita. A questo punto, due sono le strade: o ognuno lo definisce per sè, e allora lo stato deve permettere di suicidarsi a chiunque lo ritenga opportuno; oppure è lo stato a deciderlo, segnando chi può vivere e chi può (deve?) morire.
    Se lo decide lo stato, con quali criteri può farlo? E' sufficiente la scienza a mettere i paletti, quella stessa scienza che rifiutiamo come "accanimento terapeutico" quando fa quello che sa fare? Se la scienza non basta (e non basta), a cosa riferirsi, tenendo presente che uno stato mette in crisi sè stesso quando parla di vita o morte dei propri cittadini?

  9. #54
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    Non penso si possano porre dei "paletti", delimitare in modo preciso e senza dubbi quali siano i casi in cui si possa eventualmente procedere con l'eutanasia o meno, e lo stesso vale (così come ha già fatto notare ghs) per l'accanimento terapeutico, che per certuni può esserci come per altri può non esserci, per lo stesso genere di malattia-terapia.

    E proprio perchè si tratta di un argomento così delicato, anzi il più delicato di tutti ovvero la vita, ma allo stesso tempo così soggettivo, penso che l'unica soluzione sia affidarsi a una commissione di esperti di settore che caso per caso decida il da farsi, così come appunto mi pare d'aver capito accada già in Olanda (secondo quanto dice Evildark)

    In ogni caso un * per Welby.

  10. #55
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    Quote Originally Posted by ghs View Post
    Che la legge non abbia aiutato i giudici è vero. Infatti sono anche loro a chiedere che lo stato chiarisca. Ma è proprio questo il problema: in che direzione? Su quali principi?
    Sul rifiuto delle cure, io non conosco bene la cosa, nè nei suoi aspetti medici, nè in quelli giuridici, mi limito a osservarla e a ragionarci su. Mi faccio, appunto, domande sul problema della concessione di un diritto e su quali limiti debba porsi lo stato nel confronti del cittadino. Però so che la ragione dell'esistenza degli stati moderni, dal 1948 in poi, è la condivisione di un principio etico, che genera la possibilità stessa dell'accettazione dell'autorità dello stato e della convivenza fra i cittadini. Questo principio fondamentale è il diritto del cittadino alla vita, senza distinzione di qualità.
    Se noi pensiamo che una vita ridotta o breve, condotta da un letto di ospedale o da una sedia a rotelle, sia una vita senza dignità, allora dobbiamo essere disposti a definire uno standard minimo accettabile di qualità della vita. A questo punto, due sono le strade: o ognuno lo definisce per sè, e allora lo stato deve permettere di suicidarsi a chiunque lo ritenga opportuno; oppure è lo stato a deciderlo, segnando chi può vivere e chi può (deve?) morire.
    Se lo decide lo stato, con quali criteri può farlo? E' sufficiente la scienza a mettere i paletti, quella stessa scienza che rifiutiamo come "accanimento terapeutico" quando fa quello che sa fare? Se la scienza non basta (e non basta), a cosa riferirsi, tenendo presente che uno stato mette in crisi sè stesso quando parla di vita o morte dei propri cittadini?
    Vedi il punto è il che il tuo ragionamento vale anche al contrario, ti richiedo che differenza c'è tra difendere la vita e attaccarsi in modo morboso ad essa? Se un limite lo dobbiamo porre su quali principi lo poniamo? Se un limite di dignità non può essere fissato allora ti chiedo per quale motivo la nostra vita è considerata da tutti di gran lunga più importante di quella di altri esseri viventi? Per loro opera un limite che per noi non vale?

    Lo Stato non può ne tanto meno deve arrogarsi il diritto di dire tu muori tu non muori, deve però nell'ambito della conoscenza scientifica definire un limite oltre il quale la cura non è più tale ma una sorta di tortura ( e questo è possibile perché la medicina sa fino a che punto la cura rimane tale ) e solo in quel caso il singolo può scegliere cosa fare nel rispetto del suo credo. Qui non parliamo di eutanasia ma di accanimento teraupetico che presuppone l'imminenza inevitabile della morte ora dunque ti chiedo di fronte all'inevitabile ( e non di un generico tutti dobbiamo morire prima poi ) può uno Stato arrogarsi il diritto di far morire una persona tra atroci sofferenze perché deve difendere la vita?

    Il tutto diventa un paradosso se pensi che in Italia il suicidio non è un reato, la realtà è che lo Stato non interviene non per la complessità del tema in se ma solo per il timore delle reazione pro/contro che ciò scatenerebbe, conviene allora mettere tutto sotto il tappetino, come si fa con la polvere quando non si ha voglia di pulire, e la dimostrazione pratica sta nel fatto che ad oggi l'eutanasia viene punita come omicidio del consenziente, nonostante tra le due situazione di siano notevoli differenze dal punto di vista legale.

    Per concludere cito un frase del decano della Facoltà Valdese di Roma ( la chiesa Valdese è l'unica chiesa ad accettare il concetto di eutanasia ) in cui devo dire ritrovo la mia idea: "La nostra posizione differisce da quella cattolica in quanto a noi interessa parlare più del rispetto per le persone che della sacralità della vita. Bisogna guardare alla realtà, alla sofferenza, alla persone e non ai principi, il medico che si rende disponibile al suicidio assistito o all'eutanasia non commette un crimine, non viola alcuna legge divina, compie un gesto umano, di profondo rispetto a difesa di quella vita che ha un nome e una storia di relazioni."
    Last edited by Edeor; 21st December 2006 at 20:49.

  11. #56
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    Argomento delicato è molto più complicato di quanto possa sembrare...per quanto mi riguarda credo che una commissione possa prendere in carico la valutazione di questi casi estremi e se è il caso concedere l'eutanasia.

    Cmq qua si va su discorsi veramente complessi e soggettivi.

    * per Welby che ha finalmente ottenuto quello che desiderava.

  12. #57
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    Quote Originally Posted by Edeor View Post
    Vedi il punto è il che il tuo ragionamento vale anche al contrario, ti richiedo che differenza c'è tra difendere la vita e attaccarsi in modo morboso ad essa? Se un limite lo dobbiamo porre su quali principi lo poniamo? Se un limite di dignità non può essere fissato allora ti chiedo per quale motivo la nostra vita è considerata da tutti di gran lunga più importante di quella di altri esseri viventi? Per loro opera un limite che per noi non vale?

    Lo Stato non può ne tanto meno deve arrogarsi il diritto di dire tu muori tu non muori, deve però nell'ambito della conoscenza scientifica definire un limite oltre il quale la cura non è più tale ma una sorta di tortura ( e questo è possibile perché la medicina sa fino a che punto la cura rimane tale ) e solo in quel caso il singolo può scegliere cosa fare nel rispetto del suo credo. Qui non parliamo di eutanasia ma di accanimento teraupetico che presuppone l'imminenza inevitabile della morte ora dunque ti chiedo di fronte all'inevitabile ( e non di un generico tutti dobbiamo morire prima poi ) può uno Stato arrogarsi il diritto di far morire una persona tra atroci sofferenze perché deve difendere la vita?

    Il tutto diventa un paradosso se pensi che in Italia il suicidio non è un reato, la realtà è che lo Stato non interviene non per la complessità del tema in se ma solo per il timore delle reazione pro/contro che ciò scatenerebbe, conviene allora mettere tutto sotto il tappetino, come si fa con la polvere quando non si ha voglia di pulire, e la dimostrazione pratica sta nel fatto che ad oggi l'eutanasia viene punita come omicidio del consenziente, nonostante tra le due situazione di siano notevoli differenze dal punto di vista legale.

    Per concludere cito un frase del decano della Facoltà Valdese di Roma ( la chiesa Valdese è l'unica chiesa ad accettare il concetto di eutanasia ) in cui devo dire ritrovo la mia idea: "La nostra posizione differisce da quella cattolica in quanto a noi interessa parlare più del rispetto per le persone che della sacralità della vita. Bisogna guardare alla realtà, alla sofferenza, alla persone e non ai principi, il medico che si rende disponibile al suicidio assistito o all'eutanasia non commette un crimine, non viola alcuna legge divina, compie un gesto umano, di profondo rispetto a difesa di quella vita che ha un nome e una storia di relazioni."
    Su alcune cose sono perfettamente d'accordo, su altre no.
    Il discorso sul limite da porre è, in realtà, molto semplice. Il problema è tutto etico. Pretende che lo stato prenda una posizione etica e la segua, che sia da una o dall'altra parte. I politici non lo fanno, perchè, come dici tu, è materia spinosa e non conviene loro.

    Ma il mio ragionamento non vale al contrario. Per risponderti, fra difendere la vita e attaccarsi morbosamente ad essa, non c'è alcuna differenza, finché non si introduce il concetto di "qualità" della vita, sul quale non voglio ripetermi.
    Non ho capito cosa intendi per "altri esseri viventi", ma va bene così.

    Intanto, mi metto avanti e faccio gli auguri di Natale a chi legge.

  13. #58

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    Quote Originally Posted by powerdegre View Post
    Il punto sta proprio qui, io personalmente non ci vedo niente di degno a passare 9 anni inchiodato ad un letto, parlando con gli occhi, incapace di fare altro che stare li sdraiato e guardare...

    Non c'entra molto, ma leggere che Welby era affetto da SLA mi ha fatto venire in mente questa cosa. Ho appena concluso, per un esame, una ricerca bibliografica sulle BCI, interfacce cervello-computer. Esistono studi di ricerca e sperimentazione relativamente avanzati che dovrebbero permettere, in futuro, di permettere ai pazienti privi di ogni capacita' motoria residua (come gli stadi terminali di SLA) di comunicare con il mondo tramite un'interfaccia direttamente connessa (tramite EEG o altre soluzioni) al cervello e alla sua attivita'. E' in un certo modo stupefacente quello che si fa gia', e anche se "del diman non c'e' certezza", credo che non sia lontanissimo il tempo in cui anche questi pazienti potranno dire di condurre un'esistenza, seppur menomatissima.
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    tendo asintoticamente a Chuck Norris


  14. #59
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    Quote Originally Posted by ghs View Post
    Su alcune cose sono perfettamente d'accordo, su altre no.
    Il discorso sul limite da porre è, in realtà, molto semplice. Il problema è tutto etico. Pretende che lo stato prenda una posizione etica e la segua, che sia da una o dall'altra parte. I politici non lo fanno, perchè, come dici tu, è materia spinosa e non conviene loro.
    Ma il mio ragionamento non vale al contrario. Per risponderti, fra difendere la vita e attaccarsi morbosamente ad essa, non c'è alcuna differenza, finché non si introduce il concetto di "qualità" della vita, sul quale non voglio ripetermi.
    Non ho capito cosa intendi per "altri esseri viventi", ma va bene così.
    Intanto, mi metto avanti e faccio gli auguri di Natale a chi legge.
    -ot- hai mai pensato di lanciarti nella scrittura? "leggerti" è davvero piacevole e scorrevole, a differenza di molti altri riesci ad esprimere concetti complicati in modo che anche gente come kith( ) riesce a comprenderli...

  15. #60
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    mi riferisco ai post di inizio pagina due non sono andato oltre ancora, stanchezze e GG

    accostare suicidio ed eutanasia è porre sullo stesso piano due problemi diversi. per così dire nel nostro stato c'è un "diritto" al suicidio, o cmq il suicidio è legale, se uno si suicida mica compie un reato o i familiari del morto han da pagare qualcosa, l'eutanasia è diversa, richiede un intervento di un terzo, o quanto meno un omissione (es non dare più il farmaco che impedisce la morte), e qua cozza con la norma penale che punisce l'omicidio del consenziente, ovvero sia punisci il soggetto attivo (in senso lato attivo), ossia quello che dà la morte. tanto per precisione che sennò si parla di cose proprio diverse (in quanto a problemi di legge e cosa va contro cosa).


    esempio scemo: se un malato terminale si riesce a staccare da solo il respiratore, quello è suicidio, non si discute e nessuno viene punito, viene punito se qualcuno lo stacca, perchè di tutte le possibili visioni della cosa nel nostro stato si dice che il consenso alla morte deve essere attuale, e attuale significa sino all'ultimo istante di attività cerebrale, quindi si dice ok ma questo una volta che sviene (ma ha cmq attività cerebrale) o non è piu in grado di comunicare, chi ci dice che sarebbe ancora d'accordo a morire? è questo il problema dell'eutanasia nel nostro paese (eutanasia passiva, ovvero spegnere le macchine, non attivo, ovvero dare tipo un veleno e provocare direttamente la morte), se non ci fosse questo inghippo o lo si risolvesse in modo diverso l'eutanasia (passiva) sarebbe già legale, perchè si tratterebbe "solo" di rifiutare le cure, cosa perfettamente nei diritti del malato, il discorso sta quindi sul consenso.

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