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Thread: Insurrezione 15 ottobre ROMA

  1. #166
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    Quote Originally Posted by Nazgul Tirith View Post
    Eh mi licenzi in 1400, i 1400 prendono e ti bruciano su tutto.

    Poi fottiti grandissimo impreditore liberale di sta minchia
    cosa bruci, le capanne? i magazzini con dentro le magliette? ah beh, sono rovinato
    il giorno dopo ti sposto la produzione in salkazzistan e rido sorseggiando cognac e fumando sigari di contrabbando. taaaaaaaaaaaaac.
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  2. #167
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    No bruci lui dentro la sua macchina e la sua sede.



    Apparte gli scherzi, ho capito benissimo il tuo discorso purtroppo e' il sistema attuale Capitalistico che fa totalmente cagare e penso pure io, che ormai si e' arrivati totalmente al limite (essendo alla fine un economia come detto che non chiude un cerchio per rimettere in moto, ma crea un buco) e che fara' presto il botto.
    "not even death can save you from me..."


  3. #168
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    vi sfugge che siamo anche in libera concorrenza, ovvero che se produci a costi fuori mercato (cioè in italia), non arrivi sul mercato con un prezzo competitivo quindi fallisci... e se fallisci licenzi pure la parte commerciale/amministrativa...


    gli amministratori pagati 400x rispetto all'operaio sono una vergogna ma l'italia è fatta di PMI prima di tutto



    Ykykal Bonedancer
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    Bakuninn Runemaster


  4. #169
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    Quote Originally Posted by Nazgul Tirith View Post
    No bruci lui dentro la sua macchina e la sua sede.
    eh già chiudo la sede a Tirana e 1400 albanesi infoiati prendono i gommoni, risalgono il naviglio e vengono a bruciarmi al 9 piano di melchiorre gioia
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  5. #170
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    Quote Originally Posted by Randolk View Post
    eh già chiudo la sede a Tirana e 1400 albanesi infoiati prendono i gommoni, risalgono il naviglio e vengono a bruciarmi al 9 piano di melchiorre gioia
    Si sono evoluti, ora possono anche venire in macchina. Sopra al gommone, ovviamente.

  6. #171
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    Randolk ha sottolineato cose secondo me vere, ma purtroppo il discorso del libbbero mercato è davvero molto complesso, quello che scrivo lo noto nell import di materie prime e prodotti chimici per il settore alimentare che rivendo per l'80% in italia, e viceversa nell'export di nostri prodotti "forti" per i mercati emergenti. ( Vino e prodotti alimentari tipici, quindi prodotti abbastanza complessi, irriproducibili ma falsificabili )

    L'ostacolo principale è il fattore tempo. In tempi relativamente brevi si è liberalizzato il mercato, e in tempi decisamente corti si è evoluto in un mercato libero e globale. Questo mutamento delle condizioni di mercato per le aziende non è stato supportato da una condizione paritaria di vincoli e costi di produzione, d'altra parte sarebbe stato impossibile, per quanto certi paesi crescano in modo impressionante i costi di produzione crescono a ritmi più lenti, accompagnati dalle conquiste delle varie classi sociali, il wellfare quindi non cresce di pari passo con gli aumenti dell'export di questi paesi.

    C'è quindi un gap temporale a cui non ci siamo prepeparati.

    Randolk giustamente parla di valorizzazione del prodotto, e sebbene in certi casi sia possibile, il più delle volte questo desiderio non è permesso dal mercato, vediamo ad esempio il guru Steve Jobs, che nonostante abbia valorizzato al massimo i suoi prodotti ha comunque delocalizzato la produzione, e sappiamo bene a quanto vengono venduti i prodotti apple e quanti utili ha comunque prodotto l'azienda.

    Questo cosa mi porta a pensare?

    Che il problema non è nella delocalizzazione, ma nella redistribuzione delle ricchezze.

    Io sono dell'idea che in un mercato globale ormai sia obsoleto parlare di protezionismo, perchè sebbene sotto mille punti di vista tornerei ad un mercato più protetto sappiamo benissimo che questo processo non si può bloccare e tantomeno invertire.
    Quindi guardo avanti proiettandomi nell'immediato futuro e mi domando quali possano essere le scelte giuste.
    Io non sono un produttore, commercio prodotti da un paese all'altro cercando di generare un profitto che mi serve come sostentamento.
    Ad una prima analisi il mio sostentamento ( e quello di un paio di collaboratori ) arricchiva alcuni paesi esteri produttori, ed impoveriva il mio, ma analizzando meglio, se queste aziende una volta finito il prodotto lo rivendono sul mercato estero ecco che il mio operato ha contribuito ad arricchire il mio paese.

    Così un anno fa ho deciso di aiutare e creare profitto nell'esportazione dei prodotti finiti verso quei mercati da cui normalmente copro materie prime.

    Jobs è da condannare per la delocalizzazione? NO! la Apple pensa e progetta un prodotto, lo fa produrre in Cina, lo riporta negli USA, lo lancia sul mercato globale sostenendolo con un marketing da serie A, e lo rivende a prezzo standardizzato agli stessi cinesi, creando ricchezza per il proprio paese, allargandosi non nella produzione materiale ma in tutte le altre necessarie fasi dello sviluppo e lancio del prodotto, e creando nel consumatore cinese il desiderio di potersi comprare il loro prodotto, qualcuno già può permetterselo, qualcuno lotta per arrivarci e a piccoli passi arriverà.


    Quindi condanno la delocalizzazione ? NO! Condanno la speculazione che ne può derivare se non si redistribuisce in modo oculato la ricchezza generata.

    Cosa penso possa fare un governo illuminato? credo debbano sostenere il più possibile l'export dei prodotti di alto livello che abbiamo in Italia, sostenere chi sta facendo ricerca per lo sviluppo di nuove tecnologie che domani diventeranno fondamentali per la produzione di altri nuovi prodotti.

    Il come nella prossima puntata

  7. #172
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    Un governo "illuminato" tanto per cominciare potrebbe abassare i costi del lavoro, altrimenti si è davvero costretti a delocalizzare :P
    Realm Of Trollers
    while ( ! ( succeed = try() ) );
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  8. #173
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    sta diventando un discorso molto economico e tali argomenti per me sono parecchio lontani dalla mia formazione, una domanda però mi sorge: voi avete giustamente detto che con questo sistema il cerchio non si chiude, c'è chi si arricchisce e chi resta sempre all'età della pietra, col discorso dello sfruttamento del lavoro in zone povere dove non esistono tutti quei controlli e diritti che noi invece applichiamo.

    Ora io mi domando, ma tutti i soldi che l'imprenditore sanguisuga di turno accumula per effetto di questo sistema, non finiscono poi per consentire all'economia locale del tal imprenditore di continuare a girare? Siete proprio sicuri che il cerchio non si chiuda? Indubbiamente gli albanesi o i musi gialli che producono magliette continueranno a vivere (almeno fino alla prossima rivoluzione) sempre nello stesso sistema, ma l'imprenditore invece accumulerà del denaro che poi utilizzerà per comprarsi la macchina di lusso, la barca, la quattordicesima casa a Courmayeur e via dicendo. Insomma, reinvestirà quei soldi creando una domanda e consentendo ad altri di lavorare.

    Dove sta la magagna?

    Io come detto di economia ci capisco una fava, ma penso che un principio fondamentale dell'universo si possa in qualche modo applicare anche alle teorie economiche ed è il principio dell'equilibrio. SE ipoteticamente tutto il mondo godesse del medesimo status di ricchezza e benessere, non vi sarebbe stimolo a movimentare flussi di denaro e di beni consentendo a taluni di arricchirsi e ad altri di lavorare, guadagnare e via così in loop. Quello che voglio dire è che ritengo sia fondamentale e necessario che laddove vi siano dei ricchi e benestanti esistano anche dei poveri per consentire all'economia di girare sempre.
    Dove sta quindi il problema?
    Daoc
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  9. #174
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    Quote Originally Posted by Necker View Post
    Dove sta la magagna?
    La magagna sta nel fatto che l'imprenditore che ha margini enormi non reinveste nelle infrastrutture, nella qualità, nell'ambiente, nelle politiche di conservazione dell'energia, ma apre semplicemente nuovi centri di produzione alle stesse condizioni e con gli stessi costi e contribuisce a creare ancora maggiore dislivellamento economico. Questo perchè, semplicemente, PUO' farlo perchè le politiche di libero mercato glielo consentono. La scelta di reinvestire senza speculare è del tutto arbitraria, non c'è un sistema che ti impone, a fronte di grossi e grassi guadagni, di contribuire alla crescita economica e sociale, di accrescere il wellfare.
    Se si compra la macchina di lusso o il quattodicesimo yacht non sta facendo crescere un cazzo se non il proprio ego e il proprio portafogli. I soldi vanno dove ce ne sono già troppi, le briciole dove la gente bada soprattutto a sopravvivere. E bada che le briciole sono anche per tutte quelle piccole imprese che cercano di sopravvivere.
    Spoiler

  10. #175
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    La magagna sta nel fatto che l'imprenditore che ha margini enormi non reinveste nelle infrastrutture, nella qualità, nell'ambiente, nelle politiche di conservazione dell'energia, ma apre semplicemente nuovi centri di produzione alle stesse condizioni e con gli stessi costi e contribuisce a creare ancora maggiore dislivellamento economico. Questo perchè, semplicemente, PUO' farlo perchè le politiche di libero mercato glielo consentono. La scelta di reinvestire senza speculare è del tutto arbitraria, non c'è un sistema che ti impone, a fronte di grossi e grassi guadagni, di contribuire alla crescita economica e sociale, di accrescere il wellfare.
    Se si compra la macchina di lusso o il quattodicesimo yacht non sta facendo crescere un cazzo se non il proprio ego e il proprio portafogli. I soldi vanno dove ce ne sono già troppi, le briciole dove la gente bada soprattutto a sopravvivere. E bada che le briciole sono anche per tutte quelle piccole imprese che cercano di sopravvivere.
    Non ci devono essere limiti a quanto uno puo' essere ricco, ma ci dovrebbero essere un sacco di limiti in piu' a quanto una azienda puo' crescere o diventare una multinazionale e via dicendo. E quindi il concetto di libero mercato, cosi' come inteso adesso, non dovrebbe esistere.

  11. #176
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    Quote Originally Posted by Necker View Post
    sta diventando un discorso molto economico e tali argomenti per me sono parecchio lontani dalla mia formazione, una domanda però mi sorge: voi avete giustamente detto che con questo sistema il cerchio non si chiude, c'è chi si arricchisce e chi resta sempre all'età della pietra, col discorso dello sfruttamento del lavoro in zone povere dove non esistono tutti quei controlli e diritti che noi invece applichiamo.

    Ora io mi domando, ma tutti i soldi che l'imprenditore sanguisuga di turno accumula per effetto di questo sistema, non finiscono poi per consentire all'economia locale del tal imprenditore di continuare a girare? Siete proprio sicuri che il cerchio non si chiuda? Indubbiamente gli albanesi o i musi gialli che producono magliette continueranno a vivere (almeno fino alla prossima rivoluzione) sempre nello stesso sistema, ma l'imprenditore invece accumulerà del denaro che poi utilizzerà per comprarsi la macchina di lusso, la barca, la quattordicesima casa a Courmayeur e via dicendo. Insomma, reinvestirà quei soldi creando una domanda e consentendo ad altri di lavorare.

    Dove sta la magagna?

    Io come detto di economia ci capisco una fava, ma penso che un principio fondamentale dell'universo si possa in qualche modo applicare anche alle teorie economiche ed è il principio dell'equilibrio. SE ipoteticamente tutto il mondo godesse del medesimo status di ricchezza e benessere, non vi sarebbe stimolo a movimentare flussi di denaro e di beni consentendo a taluni di arricchirsi e ad altri di lavorare, guadagnare e via così in loop. Quello che voglio dire è che ritengo sia fondamentale e necessario che laddove vi siano dei ricchi e benestanti esistano anche dei poveri per consentire all'economia di girare sempre.
    Dove sta quindi il problema?
    Neck, trovi parte della risposta nel mio reply.

    Dici il giusto quando parli di equilibrio, ma ci vorrà molto tempo perchè questo avvenga, ed io infatti ti parlo di redistribuzione dei profitti. Il manager che delocalizza(cito jobs nel reply) deve reinvestire il profitto generato per riesportare il prodotto a sua volta. Oggi le aziende (tranne rari e particolari casi) non possono sopravvivere in un mercato globale senza esportare.

    Come dice Randolk (nonostante sia di una vecchiezza incredibile concentrata in pochi centimetri) la ricchezza prodozza non viene riutilizzata per "l'equilibrio".

    L'imprenditore che produce abbigliamento e che ha da poco delocalizzato gran parte della sua produzione in paesi emergenti lo fa probabilmente perchè il mercato lo impone, delocalizzando dovrebbe aver maggiori utili e questi dovrebbero essere investiti, almeno in parte per rafforzare la progettaizone e la ricerca di nuove soluzioni, per il marketing e commercio dei suoi prodotti anche negli stessi paesi in cui lui e altri come lui hanno delocalizzato.

    Tutto questo finchè piano piano questi paesi saranno meno aggressivi quando si parla di costi di produzione, e in quel momento la qualità e la ricerca faranno la differenza.

    Vi ninvito ancora a pensare al caso Apple... Apple vale 360 miliardi e i 4 top manager hanno in media uno stipendio di 530mila euro + 560 di bonus (possono sembrare tanti ma sono pochissimi se pensiamo ai nostri casi, tipo al trota che percepisce 160mila euro netti all'anno). il resto del denaro lo ricavano con le azioni quindi in base ai risultati. Apple ha totalizzato un utile di 14 miliardi.
    Apple cresce di anno in anno e nonostante delocalizzi ed esternalizzi produce grande ricchezza aumentando il personale e le attività di supporto alla produzione, attività legate allo sviluppo e marketing.

  12. #177
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    Quote Originally Posted by Wolfo View Post
    Neck, trovi parte della risposta nel mio reply.

    Dici il giusto quando parli di equilibrio, ma ci vorrà molto tempo perchè questo avvenga, ed io infatti ti parlo di redistribuzione dei profitti. Il manager che delocalizza(cito jobs nel reply) deve reinvestire il profitto generato per riesportare il prodotto a sua volta. Oggi le aziende (tranne rari e particolari casi) non possono sopravvivere in un mercato globale senza esportare.

    Come dice Randolk (nonostante sia di una vecchiezza incredibile concentrata in pochi centimetri) la ricchezza prodozza non viene riutilizzata per "l'equilibrio".

    L'imprenditore che produce abbigliamento e che ha da poco delocalizzato gran parte della sua produzione in paesi emergenti lo fa probabilmente perchè il mercato lo impone, delocalizzando dovrebbe aver maggiori utili e questi dovrebbero essere investiti, almeno in parte per rafforzare la progettaizone e la ricerca di nuove soluzioni, per il marketing e commercio dei suoi prodotti anche negli stessi paesi in cui lui e altri come lui hanno delocalizzato.

    Tutto questo finchè piano piano questi paesi saranno meno aggressivi quando si parla di costi di produzione, e in quel momento la qualità e la ricerca faranno la differenza.

    Vi ninvito ancora a pensare al caso Apple... Apple vale 360 miliardi e i 4 top manager hanno in media uno stipendio di 530mila euro + 560 di bonus (possono sembrare tanti ma sono pochissimi se pensiamo ai nostri casi, tipo al trota che percepisce 160mila euro netti all'anno). il resto del denaro lo ricavano con le azioni quindi in base ai risultati. Apple ha totalizzato un utile di 14 miliardi.
    Apple cresce di anno in anno e nonostante delocalizzi ed esternalizzi produce grande ricchezza aumentando il personale e le attività di supporto alla produzione, attività legate allo sviluppo e marketing.

    La ricchezza "prodozza". troppe Z nella stessa frase, eh wolfo ?

  13. #178
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    la delocalizzazione non è un fenomeno recente.

    le attività che possono essere svolte da non specializzati sono anni che vengono delocalizzate.
    Agli albori di sto straccio d'europa tutti i Paesi dell'est hanno stimolato lo spostamento, non solo con minori costi di produzione ma mettendoci il carico da 11 in agevolazioni fischIali.

    poi sono arrivati india, cina e compagnia cantante.

    la pressione a delocalizzare non è però data solo dall'avidità di uncle scrooge altrimenti identificato come quell'essere nefando che è l'imprenditore. La concorrenza ci mette del suo.

    la nostra impresa è nata per lo più dando martellate a qualcosa in un garage oppure cucendo abbigliamento.
    oggi uno che fa quell'attività ha costi del lavoro elevati oltre a norme su sicurezza, controllo qualità che tendono a costicchiare pure loro.
    il concorrente straniero tutto ciò non lo ha e ti butta semplicemente fuori mercato.

    ci si difende quando si è creata qualche genere di barriera all'entrata, tipo investendo sul marchio.

    La nike quanti secoli sono che produce fuori USA? praticamente ogni paese industrializzato ha delocalizzato le attività non specializzate.
    dove sta l'inghippo? che la delocalizzazione non è un male in sè. lo diventa quando non crea valore. e non lo crea quando non ci sono investimenti, non c'è tecnologia, non c'è una normativa fiscale decente ecc ecc

    poi, siamo tutti bravi europei e andiamo tutti insieme verso il medesimo obiettivo. tipo quando a uno dei paesi appartenenti a questo gruppo comune si permette di detassare in misura pesante diverse attività spostandole da un paese all'altro, in piena concorrenza fiscale. ma non sia mai che si notino queste cose! in fondo è tutta gente che lo fa per noi

    comunque nei paesi in via di sviluppo i costi di produzione salgono con il tempo, uno dei pochi vantaggi dell'occidente è che dovrebbero salire anche i consumi in questi paesi. e se si riesce a mantenere un livello di prodotti e servizi avanzato, diciamo che dovrebbe esserci un mercato. questa era un tesi che andava per la maggiore, adesso quando la ripetono ha sempre più l'aria di una speranza......
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  14. #179
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    Quote Originally Posted by laphroaig View Post
    la pressione a delocalizzare non è però data solo dall'avidità di uncle scrooge altrimenti identificato come quell'essere nefando che è l'imprenditore. La concorrenza ci mette del suo.
    In realtà sono fattori strettamente correlati fra di loro.

    Nel senso che, se ho 10 imprenditori che producono localmente in regime di concorrenza (come è normale che sia), e 1 di questi fa la furbata per primo di delocalizzare, abbatte i suoi costi e, praticamente sempre, abbassa di un pochino i suoi prezzi al pubblico in modo tale da rubare parte del mercato agli altri aumentando nel contempo i suoi profitti.

    L'effetto scatta a questo punto: gli altri 9 o falliscono col passare del tempo, o si inventano qualcosa di nuovo pur mantenendo la produzione in loco (ma in molti ambiti questo è fisicamente impossibile, se produci tomaie per scarpe nn è che puoi inventarti chissà cosa), oppure delocalizzi anche tu per poter ricominciare a fare concorrenza al primo e restare vivo. A quel punto lo fanno anche gli altri, ed ecco che l'effetto finale è bello che servito, tutti delocalizzano, i prezzi in teoria dovrebbero scendere (anche se di poco), ma nel contempo hai un tot di lavoratori che ora sono a spasso e che di conseguenza non potranno comprare più, neanche al prezzo nuovo ribassato.

    E questo porta al rischio che si sta rivelando vero come hai fatto notare a fine post, e cioé che i mercati man mano "shrinkano" sempre di più, *tranne* (per ora) quelli legati, guardacaso, ai beni di extralusso. Ma anche quelli, alla lunga e con questo andazzo, si ritroveranno nella merda.

    Un po' come se in natura si eliminassero del TUTTO le prede: i predatori si estinguerebbero anch'essi. La natura però ha la capacità di riuscire, in generale, a tenere le cose in equilibrio. Il capitalismo sfrenato del "vinca il più forte" invece no, tende all'annichilimento del sistema prima o poi.

  15. #180
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    Quote Originally Posted by Galandil View Post
    In realtà sono fattori strettamente correlati fra di loro.

    Nel senso che, se ho 10 imprenditori che producono localmente in regime di concorrenza (come è normale che sia), e 1 di questi fa la furbata per primo di delocalizzare, abbatte i suoi costi e, praticamente sempre, abbassa di un pochino i suoi prezzi al pubblico in modo tale da rubare parte del mercato agli altri aumentando nel contempo i suoi profitti.
    .
    si e no. noi siamo un paese di esportatori storicamente. il problema non è tanto la concorrenza interna quanto quella esterna. se devo competere con il vicino di casa, al massimo lo imito e me la cavo. se competo con quello che produce a 1 dollaro l'ora, sono fottuto, mi resta di andare a produrre a 1,5 dollari e schiaffarci sopra del marketing per differenziarmi in qualche modo.

    comunque se si toglie la spinta ad arricchirsi sparisce l'imprenditoria. perchè uno dovrebbe rischiare capitali e tempo per prendere la stessa cifra di un impiegato? a quel punto fa l'impiegato e si tiene il fegato sano, o lo danneggia in modi più creativi e divertenti.

    dovrebbe essere il sistema di controllo che mette dei freni all'arricchimento, quando questa pulsione provoca danni invece che benefici. ma ci stiamo già spostando nel mondo delle fate.....
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