di Fabio Barcellona)
Se la squadra nazionale è la spia dello stato di salute di un movimento calcistico, la spia ha funzionato benissimo e ha fatto scattare l’allarme necessario. Si, perché il calcio italiano è un calcio malato. Lippi ha compiuto una caterva di errori, ci si può sbizzarrire: da Cannavaro, Camoranesi e Gattuso nella lista dei 23 a Marchisio vagante per il campo, passando per infiniti altri errori. Vero è anche che il livello del materiale umano a disposizione è veramente basso: a casa sono rimasti Cassano, Balotelli (non certo Messi o C. Ronaldo), ma rimpiangere Miccoli da la misura della povertà del football di casa nostra. D’altronde solo chi ha il prosciutto negli occhi può negare l’innegabile bruttezza della nostra serie A. Cose già dette: stadi decrepiti, vuoti e ostaggio di tifoserie delinquenti, politiche federali discutibili, stampa sportiva inadeguata e spesso tifosa (nel senso deteriore del termine), moviole, proteste e cultura sportiva inesistente. Questo il contorno. Pessimo. E dentro il rettangolo di gioco, le cose non vanno molto meglio. Anzi. Il livello di gioco e di spettacolo del nostro campionato precipita e la competitività dei nostri club a livello internazionale, a dispetto della Champions League vinta dall’Inter è in picchiata. Il Milan umiliato dal Manchester United, la Juventus e la Roma fatti fuori dal Fulham e dal Panathinaikos. L’Inter, con nessun italiano (nemmeno l’allenatore) tra i suoi titolari fa storia a sè. I segnali c’erano tutti e non si capisce bene perché avremmo dovuto essere competitivi in questo Mondiale (certo, magari battere una tra Slovacchia e Nuova Zelanda…). Il problema è: come si è arrivati a questo punto? Le motivazioni sono molteplici e complesse. Mi limito ad affrontare i problemi maggiormente collegati a quanto accade dentro il campo, tralasciando tutti quelli (economici, manageriali, politici) che stanno fuori dal campo.
Cosa vedo durante le partite del campionato italiano? Vedo ruminare calcio. Vedo troppi calciatori inadeguati a quello che vorrebbe essere uno dei campionati più belli del mondo. Vedo paura e mancanza di fantasia. Vedo un pessimo calcio. Il calcio che si gioca in Italia è un calcio malato di tatticismo e povero di tattica. Mi spiego meglio. Intendo per tatticismo un atteggiamento che, basandosi su comportamenti e movimenti codificati, inibisce la capacità del singolo calciatore alla scelta individuale. Quando parlo di tattica mi riferisco a un disegno e a una filosofia adottata dall’intera squadra che viene innervata ed alimentata dalla capacità di ogni singolo calciatore di adottare le proprie scelte di gioco in funzione della situazione contingente. Lo stereotipo vuole il calcio italiano “bravo tatticamente” e ancora ci balocchiamo con questo luogo comune. Crediamo che il nostro sia “il campionato più difficile”. Ma poi vediamo che nelle Coppe Europee tutti giocano meglio di noi. Vediamo che gli altri campionati sono più belli. E, in questo Mondiale, vediamo Cile, Giappone, Messico, Uruguay giocare un calcio che noi ci sogniamo. Il calcio italiano non è “bravo tatticamente”; è, da almeno un decennio, “indietro tatticamente”. Il campionato di serie A non è il “più difficile”: è solo quello dove si gioca peggio.
Perché siamo malati di tatticismo e siamo rimasti indietro tatticamente? A mio modesto parere la colpa è del “sacchismo” inteso come pessima imitazione del rivoluzionario Arrigo Sacchi. E sì. Perché davvero Arrigo Sacchi rivoluzionò la maniera di giocare in Italia, introducendo in maniera definitiva la marcatura a zona, il pressing, la ferrea organizzazione di gioco, l’atletismo e la fisicità come elementi fondanti di una maniera di intendere il calcio. E, a scanso di equivoci, Arrigo Sacchi fu davvero un grande allenatore, capace di rivoluzionare e, in un certo senso, modernizzare, il calcio italiano. L’inizio del declino del calcio italiano nasce, a mio modesto parere, con l’adozione indiscussa, fideistica ed ottusa del calcio di Sacchi a tutti i livelli della piramide calcistica italiana, in particolar modo nei settori giovanili. Gli ultimi grandi talenti (veri) del calcio italiano, Totti e Del Piero, hanno, non a caso secondo me, compiuto il loro percorso di formazione calcistica alla fine degli anni ’80, completato all’inizio degli anni ’90, in epoca pre-sacchiana per quanto riguarda i settori giovanili. L’ultimo grande difensore italiano è stato Maldini, anche lui formato in epoca pre-sacchiana e, anche stavolta non a caso, grandissimo interprete del calcio di Sacchi. E, ancora non casualmente, i Mondiali in corso sono stati i primi senza Del Piero e Totti, i primi della generazione successiva di calciatori italiani, i calciatori figli del “sacchismo”. Che a livello di settore giovanile ha portato ad insegnare ai giovani calciatori quasi esclusivamente quella che viene definita la “tattica collettiva” cioè l’applicazione integrale e indiscussa di schemi e movimenti di squadra (preferibilmente basandosi sul 4-4-2), sia in fase di possesso palla che in fase di non possesso palla. Tralasciando in maniera che oggi, a mio parere, ha portato a questo abbassamento del livello del calcio italiano, i principi di tecnica e di tecnica applicata o tattica individuale., dove per tecnica applicata o tattica individuale si intende il comportamento e le scelte del singolo calciatore finalizzate al raggiungimento di un vantaggio nella specifica situazione di gioco. Banalizzando al massimo si è insegnato ai calciatori a applicare in maniera acritica e fideistica uno schema, un set di comportamenti prestabiliti in funzione delle situazioni di gioco e ci si è dimenticati di insegnare loro a calciare un pallone, a stoppare un pallone e a prendere decisioni autonome in risposta alla contingenti situazioni di gioco. Perchè il calcio è quello che viene definito uno “sport di situazione” reso oltremodo complesso dal fatto che si gioca con i piedi, ovviamente molto più imprecisi delle mani, con tanti giocatori per squadra, in spazi ampi e con discontinuità infinitamente minori di altri sport (es. basket). Ovvio che quindi le variabili in gioco risultano infinite e che la squadra “migliore tatticamente” sia quella in cui ogni componente sia in grado autonomamente di prendere le decisioni migliori (in termini di scelta della giocata, tempi, spazi, modi) all’interno del sistema e in funzione del comportamento degli avversari e dei compagni. Continuando a banalizzare e a semplificare: si sente dire ormai più spesso che nessuno è più capace di fare un dribbling. E’ vero. Ma non è che all’improvviso i calciatori italiani abbiano smesso di dribblare. Non glielo hanno insegnato e spesso glielo hanno impedito. E, in fase di selezione, chi lo sapeva fare è finito dietro a chi era capace di interpretare come un automa un 4-4-2. Giocatori come Alexis Sanchez e Beausejour, le due ali dribblomani del Cile, in Italia non esistono non certo perchè il DNA degli italiani è diverso da quello dei cileni. Gli esterni dovevano correre, occupare una porzione di campo sempre maggiore. E in Italia non abbiamo più un esterno offensivo. Abbiamo Pepe (volontà, volontà, volontà e nulla più) e poi persino l’italianista Marotta deve rivolgersi all’estero (Martinez, Riera, Krasic, Elia…). Si sente dire che i difensori italiani non sanno più marcare: è verissimo, gli hanno solo insegnato a coprire gli spazi e a fare le diagonali. Giustissimo, per carità. Ma non basta. Ed ecco che il Messico, il Cile si possono permettere una difesa a tre, perché i loro difensori marcano. Esempi banali che spero abbiano chiarito il concetto. Abbiamo sbagliato tanto, davvero troppo nella formazione dei calciatori. E ne paghiamo le conseguenze. Una generazione di calciatori incapaci di interpretare tatticamente al meglio le partite e poveri tecnicamente. La ricchezza di soluzioni offensive e difensive e le capacità tecniche del calcio spagnolo, olandese, persino tedesco, per non parlare del calcio sudamericano e di tanti movimenti minori noi le abbiamo perse. E anche la selezione e la formazione degli allenatori è stata sbagliata. E oggi la maggior parte degli allenatori di casa nostra non riesce ad affrancarsi dal tatticismo, dalla cultura del risultato ad ogni costo e ottenuto, non attraverso il gioco, il coraggio, ma grazie al “cuore”, al “siamo soli contro tutti”, all’episodio favorevole. Perché, ammalati di “sacchismo” non hanno la fantasia, l’audacia e, fondamentalmente, le capacità di immaginare un calcio diverso.
Ecco perché, brevemente, a mio parere, e limitandosi solo ad argomenti “tattici” l’Italia ha miseramente fallito a questi Mondiali ed ecco perché ci vorrà ancora del tempo per vedere il calcio italiano di nuovo ai vertici. Perché si raccoglia ciò che si semina.