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Thread: Referendum Trivelle

  1. #16
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    Quote Originally Posted by finalyoko hellslayer View Post
    L'unica cosa forse sensata ma non credo ancora appurata e riguardo i terremoti... Ricordo che avevano fatto studi e c'era una connessione tra terremoti e trivellazioni.... Io parlo da Emiliano e quando ci fu il terremoto qua le trivellazioni futuro una delle cause a cui era stata data la colpa

    Inviato dal mio ASUS_Z00AD utilizzando Tapatalk
    una delle cause a cui era stata data la colpa da quelli con la stagnola in testa.
    Tra l'altro mi fa spaccare, al secolo il fatto quotidiano mise il quote in inglese del rapporto come motivazione di scandalo. La citazione era la seguente: “It is therefore concluded that the seismic process that began before May 20th, 2012 and continued with the sequence of earthquakes in May-June 2012 is statistically correlated with increases in production and injection in the Cavone oil field”. Rapporto della Commissione Ichese, pagina 176, 2013

    Continuo a sostenere che sta gente dovrebbe esser picchiata con dei tomi di statistica.
    Last edited by Hador; 21st March 2016 at 15:10.

  2. #17
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    Quote Originally Posted by Bortas View Post
    Secondo me e lo dico come parere personale, questo referendum è troppo tecnico per il cittadino normale, ci si è fatta molta demagogia dietro, specialmente tra gli ambientalisti, ma dubito che il cittadino sappia a fondo di cosa si tratti, già io leggendomi quasi tutto quello che è circolato non sono riuscito a farmi un idea precisa. L'ideale sarebbe non raggiungere il quorum ma mantenere vivo l'argomento quindi lasciare le decisioni ad una commissione tecnica seria.
    "è anche vero che siamo in Italia" e se facciamo decidere ad una massaia se usare le trivelle di estrazione in un modo, siamo anche capaci di fare commissioni tecniche interamente composte da mafiosi o gente che venderebbe sua madre per 2 spicci, come di solito succede.
    mio primo pensiero.
    considerando che continuo a ritenere fondamentale che debba essere fatto un test per dare il diritto di voto..

    forse andrò cmq a votare per tornare a casa colò 50% di sconto

  3. #18
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    Domanda: ma se la legge resta com'è, le compagnie possono continuare a trivellare anche dopo la scadenza della concessione anche senza pagare una mazza/rinnovare la concessione?

    A me non è tanto l'aspetto ambientale che preoccupa (se c'è da finire il giacimento si finisce e amen), quanto l'aspetto economico. Non vorrei che, scadute le concessioni per estrarre, per legge gli è consentito ciucciare petrolio a babbo morto. Allora sì che avremmo il danno (ambientale) e la beffa (economica).
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  4. #19
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    Non credo visto che il referendum verte proprio sul non rinnovo delle licenze per fermare le trivellazioni, quindi se non si rinnovano devono stopparle.
    Ma siamo in Italia..............neanche Dio lo sa come la rigirano.
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  5. #20
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    Lo spiega bene sul post: il referendum riguarda le concessioni per trivellare entro le 12 miglia già in essere, visto che per legge non se ne possono dare di nuove. Per le concessioni attualmente attive, entro 12 miglia, è previsto un meccanismo di rinnovi che alla fin fine da la possibilità di trivellare fino all'esaurimento del giacimento.

    Votando SI' di fatto si vieta il rinnovo, con conseguente chiusura di tutte le piattaforme (alcune subito, altre entro 15 anni)

    Io mi sa che voto SI', non ho la pretesa di comprendere appieno le implicazioni, la rava e la fava, ma mi sono scassato il cazzo di questa industrializzazione senza criterio pronta a calpestare interi quartieri e migliaia di persone in nome del profitto presentato come progresso.

    Ancora mi ricordo da piccolo quando c'era la colata dell'italsider e la luce dell'altoforno si vedeva per mezzo ponente genovese, un romantico tramonto omaggio alle 2 del mattino con una folata di vento caldo anche in pieno inverno.
    Per fare quel complesso hanno stuprato un quartiere residenziale di pregio, trasformandolo in un ghetto, hanno buttato nell'atmosfera e nel mare chissa quante e quali porcherie. Cioè i miei genitori negli anni '60 ci andavano al mare d'estate a cornigliano, adesso pare uno screenshot di fallout.

    Da tempo ormai l'ilva è nella merda, lo stabilimento nn fa colate da anni, parte dell complesso è stato riqualificato in uno scintillante complesso commerciale, affacciato su acque verdi uni-posca e circondato da quartieri che sembrano teletrasportati dalla bielorussia.

    Sto referendum non servirà a una sega, le stesse regioni che l'hanno proposto lo descrivono più come un "messaggio" al governo sulla politica dei carburanti fossili. Beh messaggio per messaggio nel mio piccolo gli scrivo un sì che sta per "avete rotto il cazzo".
    Last edited by Il Nando; 11th April 2016 at 17:55.

    Spoiler

    "Mort dieu! Mi piaci come piaceva l'aceto a Cristo e ai suoi ladroni". Lorencillo
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  6. #21
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    Quote Originally Posted by Glorifindel View Post
    Domanda: ma se la legge resta com'è, le compagnie possono continuare a trivellare anche dopo la scadenza della concessione anche senza pagare una mazza/rinnovare la concessione?

    A me non è tanto l'aspetto ambientale che preoccupa (se c'è da finire il giacimento si finisce e amen), quanto l'aspetto economico. Non vorrei che, scadute le concessioni per estrarre, per legge gli è consentito ciucciare petrolio a babbo morto. Allora sì che avremmo il danno (ambientale) e la beffa (economica).

    come ha detto Nando, il post lo spiega bene.

    Le leggi prevedono che le concessioni abbiano una durata iniziale di trent’anni, prorogabile una prima volta per altri dieci, una seconda volta per cinque e una terza volta per altri cinque; al termine della concessione, le aziende possono chiedere di prorogare la concessione fino all’esaurimento del giacimento.



    Quote Originally Posted by Il Nando View Post
    Lo spiega bene sul post: il referendum riguarda le concessioni per trivellare entro le 12 miglia già in essere, visto che per legge non se ne possono dare di nuove. Per le concessioni attualmente attive, entro 12 miglia, è previsto un meccanismo di rinnovi che alla fin fine da la possibilità di trivellare fino all'esaurimento del giacimento.

    Votando SI' di fatto si vieta il rinnovo, con conseguente chiusura di tutte le piattaforme (alcune subito, altre entro 15 anni)

    Io mi sa che voto SI', non ho la pretesa di comprendere appieno le implicazioni, la rava e la fava, ma mi sono scassato il cazzo di questa industrializzazione senza criterio pronta a calpestare interi quartieri e migliaia di persone in nome del profitto presentato come progresso.

    Ancora mi ricordo da piccolo quando c'era la colata dell'italsider e la luce dell'altoforno si vedeva per mezzo ponente genovese, un romantico tramonto omaggio alle 2 del mattino con una folata di vento caldo anche in pieno inverno.
    Per fare quel complesso hanno stuprato un quartiere residenziale di pregio, trasformandolo in un ghetto, hanno buttato nell'atmosfera e nel mare chissa quante e quali porcherie. Cioè i miei genitori negli anni '60 ci andavano al mare d'estate a cornigliano, adesso pare uno screenshot di fallout.

    Da tempo ormai l'ilva è nella merda, lo stabilimento nn fa colate da anni, parte dell complesso è stato riqualificato in uno scintillante complesso commerciale, affacciato su acque verdi uni-posca e circondato da quartieri che sembrano teletrasportati dalla bielorussia.

    Sto referendum non servirà a una sega, le stesse regioni che l'hanno proposto lo descrivono più come un "messaggio" al governo sulla politica dei carburanti fossili. Beh messaggio per messaggio nel mio piccolo gli scrivo un sì che sta per "avete rotto il cazzo".
    per il tuo ragionamento, dovresti non votare o votare no, visto che in caso dovessero chiudere quelle piattaforme (una ventina ricordiamo), sarà assai probabile che verranno chieste concessioni (e quasi sicuramente accettate) per nuove trivelle oltre i 12km per sopperire alla mancanza delle chiuse.
    Inoltre dubito che cambierà chissà quanto il "paesaggio" se vengono chiuse

  7. #22
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    Capito, quindi se resta com'è devono comunque rinnovare la concessione una volta scaduta e poi possono finire il giacimento.

    Sarebbe stato forse più sensato raddoppiargli i costi di rinnovo per investire i fondi extra sul passaggio alle rinnovabili intanto. ma qualcosa mi dice che i fondi si fermerebbero per strada... nelle tasche di qualcuno
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  8. #23
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    http://www.internazionale.it/opinion...endum-trivelle

    Sei risposte ai dubbi sulle trivelle
    Marina Forti, giornalista

    Il referendum del 17 aprile riguarda l’estrazione di idrocarburi offshore entro le 12 miglia nautiche dalla costa. Dunque riguarda il futuro di 88 piattaforme oggi esistenti entro le 12 miglia, che fanno capo a 31 concessioni a “coltivare” (la coltivazione indica la zona dove una compagnia ha il permesso di estrarre gas o petrolio), oltre a quattro piattaforme relative a permessi di ricerca ora sospesi. Sono in buona parte nell’Adriatico, un po’ nello Ionio e nel mare di Sicilia, come si vede da questa mappa interattiva.

    In questione c’è la durata delle concessioni. Il quesito infatti chiede di abrogare la norma, introdotta nella legge di stabilità entrata in vigore il 1 gennaio 2016, che permette di estendere una concessione “per la durata di vita utile del giacimento”, cioè per un tempo indefinito. Se vincerà il sì quella frase sarà cancellata. In tal caso torneremo semplicemente a quanto previsto in precedenza dalla normativa italiana e comunitaria: tutte le concessioni per lo sfruttamento di idrocarburi o di risorse minerarie, a terra o in mare, hanno durata di trent’anni, con possibilità di proroghe per altri complessivi venti.

    In altre parole, sarà cancellata un’anomalia. In effetti è insolito che una risorsa dello stato, cioè pubblica, sia data in concessione senza limiti di tempo prestabiliti (ed è per questo che la corte costituzionale ha giudicato ammissibile il quesito). Tra l’altro, è un privilegio accordato alle sole concessioni entro la fascia di 12 miglia, non a quelle a terra o in mare più aperto.

    Dunque, se vince il sì le piattaforme oggi in attività continueranno a lavorare fino alla scadenza della concessione (o dell’eventuale proroga già ottenuta), ma non oltre. Certo, in gioco c’è molto di di più. I sostenitori del sì rimandano alla politica energetica del paese, parlano di energie rinnovabili, di investimenti in efficienza energetica. Ma sono accusati di mettere a repentaglio attività economiche e posti di lavoro.

    Il referendum è inutile?

    Chi si oppone alla consultazione ricorda che la legge di stabilità 2016 ha già bloccato il rilascio di nuovi titoli (permessi) per estrarre idrocarburi entro le 12 miglia. La durata della concessione però non è irrilevante, e ha risvolti molto pratici. Infatti, il blocco di nuove concessioni non impedisce che all’interno di concessioni già esistenti siano perforati nuovi pozzi e costruite nuove piattaforme, se previsto dal programma di lavoro. Potrebbe essere il caso della concessione Vega, nel mar di Sicilia, dove l’Eni progetta da tempo una nuova piattaforma (Vega B) da aggiungere a quella oggi in esercizio (la concessione scade nel 2022).

    Ancora più importante: prolungando la durata della concessione si rinvia il momento in cui le piattaforme obsolete vanno smantellate e rimosse. È un’operazione costosa che da contratto spetta alle aziende concessionarie insieme al ripristino ambientale, quindi la spesa dovrebbe essere già inclusa nei bilanci. “Sospetto che le compagnie petrolifere puntino anche a questo, a rinviare in modo indefinito il momento in cui dovranno smantellare piattaforme obsolete”, dice Alessandro Giannì, direttore delle campagne di Greenpeace Italia.

    Se vince il sì chiuderanno piattaforme operative e perderemo posti di lavoro?

    È una delle obiezioni di chi è contrario al referendum. Ma si può confutare. Primo, la vittoria del sì non significa la chiusura immediata di tutte le attività in corso: le concessioni oggi attive scadranno tra il 2017 e il 2034. Il referendum poi non mette in questione le attività di manutenzione né, ovviamente, quelle di smantellamento e ripristino ambientale.

    Quanto ai posti di lavoro, i numeri sono incerti. Assomineraria, l’associazione delle industrie del settore, parla di 13mila persone; la Filctem, la federazione dei lavoratori chimici della Cgil, parla di circa diecimila addetti solo a Gela e Ravenna. L’Isfol, ente pubblico di ricerca sul lavoro, parla di novemila occupati in tutto il settore (mare e terra).

    Quanti di questi posti siano legati alle piattaforme entro le 12 miglia è opinabile. Il sindacato dei metalmeccanici Fiom Cgil afferma che sono meno di cento. “Considerando l’indotto, arriviamo a una stima massima di circa tremila persone”, dice Giorgio Zampetti, esperto di questioni petrolifere per Legambiente.

    Una cosa certa è che le attività sulle piattaforme non sono labour intensive (cioè basate soprattutto sulla forza lavoro). Per lo più sono manovrate in remoto: gli addetti lavorano soprattutto nella fase di trivellazione, ma intervengono ben poco nella produzione (darebbe lavoro, casomai, smantellare i vecchi impianti). Gli attivisti di Greenpeace sono rimasti sorpresi, l’anno scorso, quando sono riusciti ad avvicinarsi alla piattaforma Prezioso, di fronte a Gela nel mar di Sicilia, l’hanno scalata e vi hanno appeso un gigantesco striscione, senza trovare ostacoli né risposta: il fatto è che non c’era proprio nessuno.

    Quanto petrolio e quanto gas contengono i fondali italiani?

    Non poi tanto. La produzione delle piattaforme attive entro le 12 miglia nel 2015 è stata di 542.881 tonnellate di petrolio e 1,84 miliardi di smc (standard metro cubo) di gas. In questi giorni circolano molti dati, ma attenzione a non fare confusione. L’intera produzione italiana, a terra e in mare, arriva a circa sette miliardi di smc di gas e 5,5 milioni di tonnellate di olio greggio, secondo l’ufficio per gli idrocarburi e le georisorse (Unmig) del ministero per lo sviluppo economico.

    Però la produzione nella fascia protetta delle 12 miglia, oggetto del referendum, è una parte minore del totale. Se paragonata ai consumi, copre meno dell’1 per cento del fabbisogno nazionale di petrolio, e circa il 3 per cento del fabbisogno di gas. Insomma: rinunciare alla produzione entro le 12 miglia avrebbe un peso irrilevante sul bilancio energetico italiano.

    Uno degli argomenti contro il referendum è che l’Italia, con una vittoria del sì, rinuncerebbe a una risorsa importante. Davvero? L’insieme delle riserve certe nei fondali italiani (entro e oltre le 12 miglia) ammonta a 7,6 milioni di tonnellate di petrolio, secondo le valutazioni del ministero dello sviluppo economico. Al ritmo attuale dei consumi, coprirebbero il fabbisogno nazionale per sole sette settimane. Sommando le riserve su terraferma si arriverebbe a 13 mesi. Quelle di gas arrivano a 53,7 miliardi di smc: neppure un anno di consumo italiano. In termini d’indipendenza energetica è ben poca cosa.

    Intanto lo scenario dell’energia cambia. Negli ultimi dieci anni il consumo italiano di idrocarburi è calato, osserva Legambiente riprendendo dati del Mise. Oggi l’Italia consuma in un anno 67 miliardi di smc di gas, e 57 milioni di tonnellate di petrolio: rispettivamente il 21 e il 33 per cento in meno rispetto ai consumi di dieci anni fa. Invece, è aumentata la parte delle fonti rinnovabili, arrivate a coprire il 40 per cento dei consumi elettrici (nel 2005 era al 15,4) e il 16 per cento dei consumi energetici finali (nel 2005 eravamo al 5,3).

    Gli idrocarburi portano ricchezza all’Italia?

    Neppure questo è tanto vero. L’Italia impone royalty (la somma versata in cambio dello sfruttamento commerciale di un bene) tra le più basse al mondo, pari al 7 per cento del valore del petrolio estratto in mare e al 10 per cento del valore del petrolio estratto a terra e del gas (a terra o in mare). Le royalty e i canoni (sull’occupazione del terreno) pagati dalle aziende sono poi detratti dal reddito su cui le aziende verseranno le tasse. Nel 2015 l’insieme delle royalty pagate allo stato e agli enti locali ammontava a 351 milioni di euro. La royalty si calcola sul prezzo di vendita del petrolio o del gas, al netto di alcune deduzioni. Su ogni giacimento però c’è una franchigia: sono esenti da royalty le prime 50mila tonnellate di petrolio e i primi 80mila metri cubi di gas estratti offshore.

    Il risultato è che molte piattaforme non pagano affatto. Secondo elaborazioni del Wwf sui dati del Mise, solo 18 concessioni in mare versano royalty, su un totale di 69 (entro e oltre le 12 miglia), ovvero appena il 21 per cento. Su 53 aziende estrattive, solo otto pagano royalty limitate e sono le più grandi (Eni, Shell, Edison, Gas Plus Italiana, Eni mediterranea idrocarburi, Società Ionica Gas, Società Padana Energia). A terra, solo 22 concessioni su 133 pagano royalty. È chiaro che alle aziende conviene prolungare la vita di pozzi che estraggono poco, perché restano sotto la franchigia.

    Le piattaforme hanno avuto una valutazione d’impatto ambientale?

    Che età hanno le piattaforme disseminate nei mari italiani? Anche questo punto ha risvolti molto pratici, nota l’ultimo studio pubblicato dal Wwf. Dai bollettini del ministero per lo sviluppo economico infatti risulta che 42 piattaforme (su 88) sono state costruite prima del 1986, quando è entrata in vigore la legge che istituisce le procedure di valutazione di impatto ambientale (Via). Tra queste, 26 appartengono all’Eni (o alle sue controllate), nove all’Edison e cinque all’Adriatica gas.

    In altre parole, quasi metà delle piattaforme esistenti entro le 12 miglia non è mai stata sottoposta a una valutazione di impatto ambientale. Sembra impensabile, ma è così (il ministero dell’ambiente non ha nulla da obiettare?).

    In generale, l’età media delle concessioni è piuttosto alta, 35 anni, e quasi la metà supera la quarantina. Su quel totale di 88 piattaforme, otto sono definite “non operative”, cioè non in produzione, e 31 (tutte a gas) sono “non eroganti” (cioè sono ferme per manutenzione o hanno cessato la produzione).

    “Ci chiediamo perché le compagnie petrolifere tengano inattivi così tanti impianti”, dice Fabrizia Arduini, autrice di questo studio insieme a Stefano Lenzi. “Il ministero dello sviluppo economico dovrebbe esaminare la situazione, prima che questi relitti obsoleti collassino nei nostri mari”. Arduini cita il regolamento offshore sulla sicurezza, emanato dalla Commissione europea nel 2011 e poi diventato una direttiva: il regolamento “riconosce che il rischio di cedimenti strutturali dovuti al logorio degli impianti è uno dei principali fattori di rischio di incidente. Ed è chiaro che un incidente avrebbe conseguenze tanto più gravi se avvenisse vicino alla costa, cioè proprio nella fascia delle 12 miglia”.

    Poi c’è il “normale” inquinamento. Il mese scorso Greenpeace ha ripreso i dati delle analisi compiute dall’Ispra (l’istituto di ricerca ambientale collegato al ministero dell’ambiente) su campioni di cozze raccolti intorno ad alcune piattaforme dell’Eni nell’Adriatico, dati mai resi pubblici: rivelano che i campioni contengono metalli pesanti e idrocarburi aromatici in quantità molto superiori ai limiti accettabili (quelle cozze sono normalmente messe in commercio, costituiscono il 5 per cento della produzione annuale della Romagna).

    Ha senso continuare a puntare sulle energie fossili?

    La decisione di bloccare ogni nuova attività estrattiva nei mari italiani entro le 12 miglia dalla costa risale al 2010: l’aveva deciso il governo Berlusconi sull’onda dell’allarme provocato dal disastro della Deepwater Horizon nel golfo del Messico (risale ad allora anche il regolamento europeo sulla sicurezza offshore). Due anni dopo il governo Monti ha riaperto la strada a nuove concessioni, e nel 2014 il governo Renzi ha addirittura definito l’estrazione di idrocarburi una “attività strategica”, quindi non vincolata al consenso delle regioni (che infatti hanno prima impugnato la norma, poi deciso di promuovere il referendum).

    Ora le nuove concessioni sono bloccate, ma quelle in corso diventano “a tempo indeterminato”. Ma ha senso continuare a puntare sulle energie fossili? Molti, non solo gli ambientalisti, sono convinti che concentrarsi sulle energie rinnovabili e sull’efficienza energetica garantirebbe posti di lavoro, sviluppo, innovazione.
    Italia

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