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Hudlok
Israele è spesso rappresentato come debole ed indifeso, un David ebraico circondato da un ostile Golia arabo.
Questa immagine è stata coltivata con cura dai leader israeliani e dai commentatori simpatizzanti, ma invece è l'esatto opposto di questa tesi ad avvicinarsi alla verità.
Contrariamente a quanto si crede, i sionisti hanno avuto l'esercito più numeroso, meglio equipaggiato e meglio guidato durante la guerra d'indipendenza del 1947-49, e le forze di difesa israeliane vinsero facilmente contro l'Egitto nel 1956 e contro Egitto, Siria e Giordania nel 1967, prima che gli aiuti americani arrivassero su larga scala.
Queste vittorie offrono una prova eloquente del patriottismo israeliano, della loro abilità organizzativa e forza militare, ma allo stesso tempo rivelano che Israele era tutt'altro che indifeso fin dai sui primi anni.
Attualmente, Israele è la più grande potenza militare del Medio Oriente.
Le sue forze convenzionali sono superiori a quelle dei vicini, ed è l'unico Stato dotato di armi nucleari.
Egitto e Giordania hanno firmato trattati di pace con Israele, ed anche l'Arabia Saudita si è dichiarata disponibile in tal senso.
La Siria ha perso il suo alleato sovietico, l'Iraq è stato devastato da tre guerre disastrose, e l'Iran è lontano centinaia di miglia.
I palestinesi hanno a malapena una forza di polizia, e non è pensabile che il loro esercito possa minacciare Israele.
Secondo una ricerca del prestigioso «Jaffee Center for Strategic Studies», presso l'Università di Tel Aviv: «il bilancio strategico favorisce decisamente Israele, il quale ha continuato ad aumentare il divario qualitativo fra le proprie capacità militari e quelle dei vicini».
Se l'idea di supportare il debole rappresentasse un interesse primario per l'America, gli Stati Uniti dovrebbero schierarsi con gli avversari di Israele.
Aiutare una Democrazia?
Il supporto americano è spesso giustificato dalla tesi secondo cui Israele è un baluardo della democrazia circondato da dittature ostili.
Questo ragionamento sembra convincente, ma non può giustificare l'attuale livello di aiuti americani.
Dopo tutto, ci sono molte democrazie nel mondo, ma nessuna di queste riceve il generoso sostegno che gli Stati Uniti forniscono ad Israele.
Gli USA hanno sovvertito governi eletti democraticamente in passato, e sostenuto dittatori quando questo era ritenuto nel loro interesse; inoltre attualmente hanno buone relazioni con numerose dittature.
Pertanto il fatto che Israele sia una democrazia non giustifica né spiega il livello di supporto che riceve dagli USA.
L'argomento della «democrazia condivisa» inoltre è indebolito da alcuni aspetto dell'assetto democratico israeliano, che sono contrari ai valori di base dell'America.
Gli Stati Uniti sono infatti una democrazia liberale in cui i cittadini di ogni razza, religione o gruppo etnico godono degli stessi diritti. Al contrario, Israele è stato esplicitamente fondato come Stato ebraico e la cittadinanza è basata sui legami di sangue.
Quando il movimento Sionista ebbe luce, nel tardo 19 secolo, erano presenti soltanto circa 15.000 ebrei in Palestina.
Nel 1893, ad esempio, gli arabi costituivano circa il 95% della popolazione, e benché sotto dominazione ottomana, abitavano quelle terre da ben 1300 anni.
Anche quando Israele fu fondato, gli ebrei erano circa il 35% della popolazione e possedevano il 7% delle terre.
La leadership sionista non era interessata alla creazione di uno Stato bi-nazionale e non avrebbe mai approvato una divisione permanente della Palestina.
Tale divisione fu inizialmente accettata come primo passo, ma si trattò di una manovra tattica che non rispecchiava le intenzioni reali.
Come David Ben Gurion disse verso la fine degli anni 30, «dopo la creazione di un potente esercito a sostegno dello Stato, rinnegheremo la divisione e ci espanderemo su tutta la Palestina».
Per raggiungere tale obiettivo, i sionisti dovevano deportare un grande numero di arabi fuori dai territori dove sarebbe sorto Israele.
Non c'era alcuna alternativa.
Ben Gurion era ben consapevole del problema, e scrisse nel 1941 che «era impossibile immaginare uno spostamento di massa [della popolazione araba] senza una brutale coercizione».
Oppure come disse lo storico israeliano Benny Morris: «l'idea del trasferimento è antica quanto il moderno movimento sionista, e lo ha accompagnato nella sua evoluzione durante l'ultimo secolo».
L'occasione si presentò nel 1947-48, quando gli ebrei costrinsero 700.000 palestinesi all'esilio.
I rappresentanti israeliani hanno sempre sostenuto che gli arabi se ne andarono perché i loro leader dissero loro di andarsene, ma un'attenta ricerca (condotta principalmente da storici israeliani come Morris), ha demolito questo mito.
Infatti la maggior parte dei leader arabi raccomandò alla gente di rimanere nelle proprie case, ma la paura di una morte violenta per mano dei sionisti convinse molti arabi a scappare.
Dopo la guerra, Israele impedì il ritorno dei profughi palestinesi.
Il fatto che la creazione dello Stato di Israele implicava un crimine morale ai danni dei palestinesi era ben noto ai leader israeliani.
Infatti Ben Gurion disse a Nahum Goldmann, presidente del World Jewish Congress, «se fossi un leader arabo non farei mai accordi con Israele. Questo è naturale: abbiamo occupato il loro Paese. Noi veniamo da Israele, ma ciò accadeva duemila anni or sono, e loro cosa c'entrano? C'è stato l'antisemitismo, i nazisti, Hitler, Auschwitz, ma loro che colpa
ne hanno? Loro vedono solo questo: noi siamo arrivati ed abbiamo rubato la loro terra. Perché dovrebbero accettarlo?».
Da allora, i leader israeliani hanno ripetutamente cercato di rinnegare l'ambizione dei palestinesi di avere uno Stato.
Il primo ministro Golda Meir arrivò a dire che «non esiste qualcosa chiamato Palestina», ed anche il primo ministro Yitzhak Rabin, che nel 1993 firmò gli accordi di Oslo, si oppose alla creazione di uno Stato palestinese indipendente.
Le pressioni da parte degli estremisti ed il crescente livello della popolazione palestinese hanno costretto i leader israeliani a ritirarsi da alcuni dei territori occupati e a cercare dei compromessi territoriali, ma nessun governo israeliano ha concesso ai palestinesi un proprio Stato.
Anche l'offerta a quanto pare generosa del primo ministro Ehud Barak a Camp David nel luglio del 2000 prevedeva uno Stato palestinese disarmato e smembrato in una serie di «Bantustans», di fatto sotto il controllo israeliano.
I crimini europei contro gli ebrei forniscono una evidente giustificazione morale al diritto di Israele ad esistere.
Ma la sua sopravvivenza non è in pericolo - anche se alcuni estremisti islamici fanno delle deplorevoli ed irrealistiche allusioni alla «cancellazione di Israele dalla mappa geografica» - e la tragica storia degli ebrei non obbliga gli Stati Uniti ad aiutare Israele qualunque cosa esso faccia.
«Israele buono» contro gli «arabi malvagi»
L'ultima argomentazione morale dipinge Israele come un Paese che ha cercato con ogni mezzo la pace e che ha dimostrato molta moderazione anche quando provocato.
Le azioni degli arabi, al contrario, sono considerate pervase da grande malvagità.
Questa argomentazione, ripetuta senza sosta dai leader israeliani e dagli americani che li appoggiano - come Alan Dershowitz - è un altro mito.
In termini di comportamento reali, la condotta di Israele non è moralmente distinguibile da quella dei suoi avversari.
La ricerca accademica israeliana mostra che i primi sionisti erano ben poco amichevoli nei confronti dei palestinesi.
Gli arabi opposero resistenza all'invasione sionista, cosa comprensibile visto che i sionisti cercavano di creare il proprio Stato sul territorio arabo.
I sionisti reagirono violentemente, e nessuna parte mostrò superiorità morale durante quel periodo. Le stesse ricerche mostrano che la creazione di Israele, nel 1947-48, comportò atti di pulizia etnica comprese esecuzioni, massacri e rapimenti da parte degli ebrei.
Inoltre, negli anni seguenti la condotta di Israele nei confronti degli arabi e dei palestinesi fu spesso brutale, cancellando ogni validità all'ipotesi di una sua superiorità morale.
Fra il 1949 ed il 1956, ad esempio, l'esercito israeliano uccise fra 2.700 e 5.000 «spie» arabe, la maggior parte delle quali era disarmata.
Tale esercito inoltre fece molti raid un piano di espansione di Israele.
Le ambizioni espansionistiche inoltre portarono Israele ad unirsi a Francia ed Inghilterra nell'attacco all'Egitto del 1956, ed Israele si ritirò dalle terre conquistate solo a causa di forti pressioni USA.
L'esercito israeliano uccise centinaia di prigionieri di guerra egiziani sia nella guerra del 1956 che in quella del 1967, e deportò fra 100.000 e 260.000 palestinesi fuori dalla Cisgiorndania (appena conquistata) ed espulse 80.000 siriani dalle alture del Golan.
Fu anche complice nel massacro di 700 innocenti palestinesi nel campo profughi di Sabra e Shatila dopo l'invasione del Libano nel 1982, ed una commissione di inchiesta israeliana dichiarò l'allora ministro della difesa Sharon «personalmente responsabile» di tali atrocità.
Soldati israeliani hanno torturato molti prigionieri palestinesi, ed hanno sistematicamente umiliato e tormentato i civili palestinesi, usando spesso la forza contro di loro in numerose occasioni.
Durante la prima Intifada (1987-1991), ad esempio, l'esercito israeliano distribuì manganelli ai suoi soldati raccomandando loro di spezzare le ossa ai palestinesi.
L'organizzazione svedese «Save the Children» ha stimato che «fra 23.600 e 29.900 bambini palestinesi hanno dovuto sottoporsi a cure mediche per lesioni da percosse nei primi due anni dell'intifada, e circa un terzo di essi presentava fratture ossee. Circa un terzo di tali bambini aveva meno di dieci anni».
La reazione di Isreale alla seconda Intifada (2000-2005) è stata ancora più violenta, portando [il giornale, ndt] Ha'aretz a dichiarare che «l'esercito israeliano è diventato una macchina per uccidere la cui sorprendente efficienza incute terrore».
L'esercito sparò un milione di proiettili nei primi giorni della rivolta, cosa ben lontana da una reazione proporzionata.
Da allora l'esercito ha ucciso 3-4 persone (la maggior parte delle quali innocenti passanti) per ciascun israeliano caduto; il rapporto fra i bambini ammazzati è ancora più alto (5.7 a 1).
Gli israeliani hanno ucciso anche molti pacifisti, inclusa una ragazza americana di 23 anni schiacciata da un Bulldozer nel marzo 2003.
Questi fatti riguardanti la condotta di Israele sono stati ampiamente documentati da numerose organizzazioni umanitarie - anche israeliane - e non sono messi in dubbio dagli studiosi obiettivi. Questo è il motivo per cui quattro ex-ufficiali dello Shin-Bet (il servizio segreto civile israeliano) hanno condannato la condotta di Israele durante la seconda Intifada.
Uno di essi ha dichiarato che «ci stiamo comportando in maniera ignobile» ed un altro ha definito la condotta di Israele «manifestamente immorale».
Ma Israele non ha il diritto di fare tutto ciò che ritiene per proteggere i propri cittadini?
Il terrorismo non giustifica il continuo sostegno da parte degli USA?
Nemmeno questo argomento, però, rappresenta una giustificazione morale.
I palestinesi hanno utilizzato il terrorismo contro gli occupanti israeliani, ed il loro desiderio di attaccare civili innocenti è deprecabile.
Il loro comportamento, però, non è sorprendente in quanto i palestinesi ritengono di non aver alcun altro modo per ottenere concessioni.
Come il primo ministro Ehud Barak una volta ammise, se fosse nato palestinese «avrebbe aderito ad una organizzazione terroristica».
Infine, non dovremmo dimenticare che i sionisti utilizzarono anch'essi il terrorismo quando erano in una posizione debole e volevano ottenere il loro Stato.
Fra il 1944 ed il 1947, molte organizzazioni sioniste usarono attentati terroristici per spingere gli inglesi fuori dalla Palestina, causando la morte di molti civili.
I terroristi israeliani uccisero anche il mediatore delle Nazioni Unite conte Folke Bernadotte nel 1948, perché non erano d'accordo con la sua proposta sullo status internazionale di Gerusalemme.
Nè gli esecutori di questi atti erano tutti estremisti: ai leader del piano omicida fu concessa un'amnistia, ed uno di essi fu eletto alla Knesset [il parlamento israeliano, ndt].
Inoltre, Shamir ha apertamente dichiarato che «né l'etica israeliana, né la tradizione escludono il terrorismo come strumento di lotta».
Infatti il terrorismo «ha svolto un ruolo importante nella nostra guerra contro gli occupanti britannici».
Se l'uso del terrorismo da parte dei palestinesi oggi è moralmente censurabile, allo stesso modo lo era a suo tempo quello israeliano; pertanto non è possibile giustificare il supporto agli israeliani in base alla tesi che la loro condotta morale passata sia stata moralmente superiore.
Israele forse non si è comportata in maniera peggiore di altri Paesi, ma sicuramente la sua condotta non è stata migliore.