MF-MILANO FINANZA È IN GRADO DI PUBBLICARE LE MAIL CHE RICOSTRUISCONO LA VICENDA
Soros voleva davvero la Roma
Da ottobre a maggio banchieri d’affari e studi legali hanno tenuto i contatti tra il finanziere ungherese
e la famiglia Sensi, finché una fantomatica offerta araba ha fatto saltare tutto. Ecco le prove in esclusiva
di Catia Augelli
e Antonio Satta
Difficile prevedere come finirà la trattativa tra la cordata capeggiata dalla Fio Sports Group di Vinicio Fioranelli e la famiglia Sensi, principale azionista, attraverso Italpetroli, della As Roma. Il presidente e amministratore delegato della club giallorosso,
Rosella Sensi, come è noto, non vorrebbe passare la mano, ma per la prima volta da quando hanno cominciato a farsi avanti gruppi internazionali per proporsi come acquirenti, la società ha ammesso che sono in corso colloqui ed incontri. Del resto è anche la prima volta che un pretendente fa filtrare un documento ufficiale che testimonia il proprio interesse, oltre che la propria esistenza. Ieri, infatti, la Gazzetta dello Sport ha pubblicato il testo di una lettera inviata dalla Fio Sports ad Italpetroli, nella quale si ribadisce «il pieno impegno, tuttora in corso, per il buon esito della trattativa», e si informa che il gruppo «sta facendo le valutazioni finali con lo scopo di consegnare prima possibile tutti i documenti pertinenti ». A quanto pare l’indagine avviata dalla Consob lo scorso anno, dopo l’altalena di notizie sull’interesse di George Soros all’acquisto della Roma, in via di conclusione in queste settimane, non è passata invano. Durante la vicenda Soros, infatti, i giornali non hanno mancato di seguire con attenzione rumors e notizie finanziarie, ma i pretendenti sono rimasti in silenzio, mentre Italpetroli ha smentito praticamente ogni informazione filtrata sulla stampa. Tant’è che da più parti, il sito di gossip Dagospia è stato in questo senso il più solerte, si è parlato di bufala giornalistica e persino di manovre speculative.
Ma il vento della trasparenza che sta sollevando i veli in queste settimane, è riuscito anche ad aprire qualche cassetto chiuso dallo scorso anno, così cominciano ad emergere alcuni documenti riservati che dimostrano come effettivamente tra la Inner Circle Sports, merchant bank Usa specializzata, e la famiglia Sensi, attraverso il suo rappresentante legale, avvocato Gianroberto de Giovanni, ci sia stata una trattativa. E soprattutto che è stata condotta dagli americani attraverso l’ausilio
di Banca Rothschild e degli studi legali Tonucci e Cleary Gottlieb, per conto di Soros e Joseph Tacopina. Il coinvolgimento del magnate di origine ungherese fu annunciato da MF-Milano Finanza il 3 aprile del 2008. Non mancarono però i commenti
scettici, che si alimentavano dalla mancanza di conferme ufficiali di Soros e soprattutto dalle smentite di Italpetroli. In realtà, come dimostra una mail spedita l’8 aprile da Len Potter, del Soros Fund Management, all’avvocato Tacopina, l’interesse era ben vivo. «George» scrive Potter «terrà una conferenza stampa. È una conferenza limitata alla presentazione del suo nuovo libro ma ci aspettiamo domande sulla Roma. George non negherà di essere coinvolto in qualunque trattativa, ma neanche confermerà
che le trattative sono in corso. Risponderà a queste domande con un sorridente no comment che è una procedura standard
per lui e per noi per quel che riguarda le domande sui suoi investimenti. Sebbene noi rispondiamo a tutte le domande nello stesso modo (anche dove non siamo coinvolti), la stampa e l’opinione pubblica leggeranno quel no comment come una
conferma che siamo interessati alla squadra e che siamo coinvolti nelle trattative. Un elemento, questo, che pensiamo possa forse aiutare la nostra causa anche senza una conferma diretta. Tienici informati. A quanto pare le cose stanno andando
bene». Previsione, quest’ultima, in realtà fallace, visto che la trattativa, proseguita in un crescendo di contatti ed incontri si arenò a sorpresa il 18 aprile, quando agli emissari americani, pronti a firmare l’impegno vincolante all’acquisto, venne presentata l’offerta alternativa di una non meglio identificata cordata araba. Sorpreso, Horowitz contattò immediatamente gli uomini di Soros, che decisero di passare la mano. Che le cose siano andate effettivamente così lo scrive lo stesso Horowitz a de Giovanni in un’altra mail (inviata in copia anche al Soros Fund). Dopo i convenevoli, Horowitz scrive: «Siamo stati informati
dagli uffici della famiglia di George Soros che non c’è più la volontà di portare avanti la trattativa per l’acquisizione di una quota di controllo della As Roma. Come capirai, a loro non è piaciuto lo sviluppo degli eventi dell’ultima settimana, e tra
questi il venir fuori di un’apparente offerta molto più alta della nostra valutazione, tra 270 e 283 milioni di euro, cifre intorno alle quali, prima del mio recente viaggio in Italia, era ragionevole aspettarsi che avremmo chiuso l’accordo. Soros è anche abbastanza preoccupato circa l’alto livello di esposizione mediatica che il suo nome ha ricevuto sulla stampa italiana. Una posizione inaccettabile per loro in assenza di una chiara indicazione sulla possibile conclusione della transazione». «Ti prego
anche di tenere a mente, per ragioni di chiarezza, che Soros ha mantenuto i rapporti con i tuoi clienti, solo attraverso la Inner Circle Sports, e quindi ti consiglio di stare attento a chiunque rilasci dichiarazioni a nome di Soros». «Mi dispiace che queste trattative promettenti, che sono state portate avanti per lungo tempo, non si siano concluse come ci aspettavamo, nonostante gli sforzi di entrambe le parti. Personalmente, ho apprezzato tutto il lavoro che hai svolto durante il periodo di trattativa, ma sono anche abbastanza deluso che le interminabili ore spese per questa transazione non abbiano avuto i risultati previsti. Se ci saranno cambiamenti ti farò sapere e spero che tu faccia lo stesso».
Come registrò subito MF-Milano Finanza, ormai la trattativa era sostanzialmente archiviata, ma per iniziativa di Unicredit, socia al 49% di Italpetroli, si fece un ultimo tentativo, come dimostra la mail inviata il 18 maggio da Steve Horowitz a de Giovanni per preparare un incontro a Milano. «Come sai già dalla conversazione del 22 aprile e della seguente comunicazione del 24 aprile il nostro cliente (the Soros Family Office) ha ufficialmente ritirato il proprio interesse all’acquisto del controllo della Roma. Per tentare di creare le condizioni necessarie perché loro possano prendere nuovamente in considerazione una proposta che possa portare ad una transazione ci sono diversi aspetti essenziali della trattativa che devono essere fissati: 1) l’esclusività a
questo punto non è importante. La cosa importante è la riservatezza e il fatto che a decidere sia un ristretto numero di persone che possano anche firmare l’accordo. Tra questi ci dovrebbe essere un rappresentante della banca e un rappresentante dei Sensi a nome dell’intera famiglia; 2) ci aspettiamo di far partire la trattativa con la maggior parte dei
termini già fissati nel mio recente viaggio in Italia durante il quale era prevista la conclusione dell’accordo; 3) posso confermarti che non ci sarà alcun aumento del prezzo della transazione.(…) Spero di riuscire a raggiungere un accordo molto rapidamente
dato che gran parte del lavoro è stato svolto durante il periodo da ottobre ad oggi. A questo punto avrei bisogno di avere i termini dell’investimento da presentare a Soros stesso per l’approvazione. Per me non c’è motivo di pensare che questo processo possa durare più dei dieci giorni lavorativi che tu hai indicato nelle email. Sono ottimista di poter trovare una soluzione
che risolva i problemi finanziari della famiglia Sensi e che risolva anche i tuoi timori circa il rispetto degli interessi della banca».
Neanche quest’incontro, però, servì a rianimare la trattativa. Gli uomini di Soros, inutilmente in pista da ottobre, confermarono il verdetto emesso qualche settimana prima: «We are out». (riproduzione riservata)
Ribadiamo il concetto, meglio il delisting.
Da ottobre a maggio banchieri d’affari e studi legali hanno tenuto i contatti tra il finanziere ungherese e la famiglia Sensi, finché una fantomatica offerta araba ha fatto saltare tutto. Ecco le prove in esclusiva L’Italia è quello strano paese in cui ogni tifoso si crede in grado di sostituire il commissario tecnico della Nazionale (e varare dunque una formazione migliore). Trattare una squadra di calcio come se fosse una società qualsiasi, per chi cerca di fare informazione finanziaria, è difficilissimo. Se poi questa squadra è anche quotata in Borsa, diventa praticamente impossibile. Lo scorso anno, durante la vicenda Soros, MF-Milano Finanza cercò di raccontare la lunga e complicata trattativa tra gli emissari del magnate ungherese e la famiglia Sensi, come se si trattasse di un qualsiasi caso di merger societario. Quando si capì che difficilmente l’operazione sarebbe arrivata in porto questo giornale pubblicò un commento, che forse è il caso di riprendere: «Troppe pressioni esterne, troppi interessi trasversali per uno sport che è anche spettacolo, industria, finanza, ma al tempo stesso passione, campanile, identità, aspirazione di riscatto sociale e, come si vede dalle sue pagine più nere, anche grande catalizzatore di tensioni che sfociano
in violenza. Il calcio è tutto questo e anche di più, una quantità di elementi disciolti in un amalgama instabile da cui è praticamente impossibile distillare i soli aspetti finanziari. Capita così che sulla vicenda della Roma siano andate in scena in
queste settimane due rappresentazioni così diverse che più non si potrebbe. I fogli dei giornali, le tv, le radio dei tifosi, hanno raccontato la cronaca di una trattativa incalzante con colpi di scena a effetto, compresa l’apparizione d’improbabili sceicchi. I
comunicati della società e della sua controllante, Italpetroli, invece sembravano spediti direttamente dalla Luna, visto che dipingevano una situazione d’olimpica serenità in cui le banche creditrici non hanno fretta di riavere i soldi, la famiglia Sensi è
unita e non vuol vendere e soprattutto nessuno si è presentato alla porta per comprare (...) La realtà che emerge è quella di una trattativa complessa, che ha visto scendere in campo primarie banche d’affari e operatori specializzati, oltre che avvocati di grande esperienza. Un percorso lungo e accidentato, cominciato otto mesi fa e tutt’altro che concluso, in cui (...) sono state scambiate centinaia di telefonate, e-mail e appunti vari. Task force di analisti ed esperti di mercato hanno sviluppato simulazioni e ideato piani d’investimento. Né più né meno di quanto succede ogni volta che si mette in moto un’ipotesi di M&A.
Solo che la realtà è stata macinata nel tritacarne del calcio, tra tifo, ricerca di scoop e passioni esasperate, e nell’impasto che ne è uscito fuori ognuno ha potuto leggervi quello che preferiva, la conferma di una bufala o la certezza del grande complotto dei poteri forti contro il finanziere vendicatore del popolo giallorosso. No, il calcio, almeno quello italiano, non è ancora pronto per Piazza Affari». Un anno dopo non c’è ragione di modificare questo giudizio. Se mai qualcuno comprerà la Roma, magari un pensierino al delisting sarebbe il caso lo facesse.