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Smart working, il datore di lavoro potrebbe dover contribuire alle spese di casa
di CLAUDIO GERINO
Una sentenza in Svizzera apre il fronte, a livello europeo, dei costi a carico di un dipendente per il lavoro dalla propria abitazione. E stabilisce che il proprietario dell’azienda deve concorrere per affitto, consumo elettrico e connessione Internet
C'è una sentenza del Tribunale federale svizzero, nel cantone zurighese che riguarda lo smart working. Sentenza senza appello e inequivocabile. Stabilisce che i costi di produzione devono restare a carico del datore di lavoro anche se il dipendente lavora da casa. La notizia è stata resa nota ieri dalla SonntagsZeitung, anche se questa pronuncia dei giudici risale allo scorso anno.
Il problema è che il caso affrontato dal tribunale federale svizzero ha oggi una valenza significativa anche per il resto dell'Europa, con il fatto che migliaia di dipendenti - per evitare il contagio da Covid 19 e sia per scelta individuale o per decisione aziendale.
La vicenda è semplice: un'impiegata ha chiesto di avere il riconoscimento delle spese derivanti dall'avere destinato a ufficio una parte della propria abitazione, non potendo disporre - nel caso specifico perché non c'era, ma oggi è possibile "girare" tale richiesta anche per chi non ha potuto usufruirne per motivi legati all'emergenza sanitaria - di una propria postazione nella sede della società.
L'azienda, in un primo tempo, aveva respinto la richiesta dell'impiegata, la quale si è appellata al Tribunale federale che, alla fine del dibattimento, le ha dato ragione, stabilendo un indennizzo di 150 franchi svizzeri mensili per l'attività svolta da casa. Una cifra che - secondo la sentenza - deve coprire sia l'allestimento di una postazione di lavoro, sia le spese per l'utilizzo di Internet e parte dell'energia elettrica. Ma anche delle spese di affitto dell'alloggio, in quanto l'impiegata ha dovuto ridurre il suo spazio "privato" per far posto alla postazione di lavoro.
La sentenza, al di là del caso specifico svizzero, è destinata a riaprire - se non ad essere un precedente giuridico - il dibattito sui problemi riguardanti le nuove forme di lavoro generate sia dall'emergenza Covid 19, sia dalla trasformazione digitale delle aziende. Migliaia di dipendenti sono stati invitati a trasformare la propria casa in un ufficio, assumendone - di fatto - una parte dei costi. Ma la sentenza svizzera conferma che questi costi non possono essere a carico interamente del lavoratore, anche se questi ha ricevuto dal proprio datore di lavoro uno strumento (computer, tablet, cellulare, etc.) per svolgere l'attività in remoto e in smart working. In pratica, il Tribunale federale ha censurato il fatto che gli oneri di produzione vengano trasferiti sul dipendente stesso. La decisione dei giudici ha anche individuato quali oneri non possono essere a carico del lavoratore, oltre allo strumento di lavoro: affitto della casa (parzialmente), consumi energetici, connessione Internet. Insomma, il datore di lavoro ha l'obbligo, nel caso di smart working, di partecipare - nelle forme che devono essere concordate sia individualmente che collettivamente - alle maggiori spese per il dipendente.
La sentenza ha fatto drizzare le antenne ai sindacati. Il segretario di Unia Ticino, Giangiorgio Gargantini, pur evitando di commentare lo specifico caso, ha voluto sottolineare che "se il lavoro da casa dovesse diventare qualcosa di strutturale, dovrà essere sottoposto a tutti gli obblighi per i datori di lavoro". Obblighi che si traducono "in quelli contrattuali, come i tempi di lavoro e il loro controllo, fino a questioni tecniche di spazio, come una sedia ergonomica, il computer e la messa a disposizione di tutti i mezzi tecnici necessari che si avrebbero in ufficio". I tempi sono maturi, anche in altre nazioni europee, per una trattativa sindacale che stabilisca come, in che modo e con quali oneri, il datore di lavoro debba partecipare alle spese del dipendente che opera in condizioni di smart working