Mentre annaspa col fiato corto, con il casco dell’ossigeno in testa, guarda l’infermiera che si avvicina con una siringa per un’iniezione e la ammonisce: «Non mi darà mica il vaccino? Non ci provi neanche». Perché la teoria del complotto spesso sopravvive alla malattia, persino alla fame d’aria. E all’evidenza. Succede in molti reparti Covid degli ospedali, è successo più di una volta al reparto di terapia intensiva Covid dell’ospedale fiorentino di Ponte a Niccheri. Lì, i letti non sono più quelli di un anno fa, quando erano 18 e si cercava in ogni modo di attivarne altri. Ora, al Santa Maria Annunziata, i posti disponibili nella rianimazione Covid sono 6, per ora bastano. Anzi, ieri mattina ad essere occupati erano 4. «Sono tutti pazienti non vaccinati — spiega il primario, il dottor Vittorio Pavoni — È ormai una costante da molto tempo: degli ultimi 170 pazienti in questa rianimazione, il 90% non era vaccinato. E i pochi vaccinati erano per lo più persone che avevano fatto il monodose dose di Johnson & Johnson, spesso già affetti da malattie del sangue o del sistema linfatico. Ovvero persone che non avevano avuto una risposta immunitaria di rilievo dal vaccino».
Sono tutti tra i 50 e i 60 anni, i quattro attuali ricoverati, tutti intubati. C’è un signore, che vive tra i monti, in una casa senza tv e del Covid non sa quasi nulla: «Non mi sono vaccinato, perché mi ero detto che lassù il virus non sarebbe arrivato». E invece non è andata così. Ci sono due pazienti che dei vaccini avevano paura, è il caso più frequente in questo periodo in rianimazione. Ma il quarto è un no vax convinto, che ha fatto la guerra a medici e infermieri fino a un istante prima di accettare di essere messo in coma e intubato. Non è un caso isolato, però. Per i sanitari, malgrado i ritmi più bassi rispetto a un anno fa, «la situazione, se possibile, è ancora più stressante». Quel paziente, dal letto di terapia intensiva, ha gridato a lungo al «complotto», sostenendo la pericolosità dei vaccini e l’inefficacia delle cure. Rifiutando di essere intubato. Fino all’ultimo, quando stava per morire, non respirava più e a quel punto si è arreso: «Fate tutto il possibile», ha detto gettando la spugna rispetto alle sue convinzioni. Quel «tutto il possibile», se basterà, sono una ventina di farmaci al giorno cui il no vax ora è sottoposto: anziché un vaccino, ora c’è una lunga lista che risponde al nome di cortisone, eparina, gastroprotettori, anticorpi antinfiammatori, antibiotici e tante altre medicine.
Tra i ricoverati no vax, ma anche tra i pazienti spaventati dai vaccini, c’è chi chiede gli anticorpi monoclonali (una terapia che può avere efficacia nelle fasi iniziali della malattia, non quando si è già gravi in rianimazione), chi il plasma iperimmune (una cura che ha dimostrato scarsissima efficacia). «Da medico resto stupefatto — prosegue Pavoni — Rifiuti un vaccino che permette al tuo corpo di produrre anticorpi per conto suo, ma accetti, anzi pretendi, anticorpi artificiali o fatti da un’altra persona? Che senso ha?». La disinformazione si spande sulle vicende aneddotiche, raccontate da un parente o da un amico, a dispetto delle statistiche. «E i malati arrivano in ospedale dopo aver tentato cure inutili, a volte persino dannose, con antiparassitari, vitamine, omeopatia». Tra i no vax più convinti, quando riescono a riprendersi, molti una volta svegliati dal coma e estubati ammettono: «Ho sbagliato, non credevo che fosse così, mi vaccinerò». Ma non mancano persone che continuano a gridare al complotto anche dopo essere stati salvati. Tuttavia, per i sanitari del reparto del dottor Pavoni, come di tutti gli altri reparti Covid, il problema è il prima: «Per noi lo stress principale è decidere cosa fare: da un lato hai il dovere di fornire le migliori cure, dall’altro devi rispettare le volontà del malato, anche quando ad esempio decida di non voler essere curato. Ma il problema è che sono persone in ipossia (con scarsa ossigenazione, ndr) e quindi hai il dilemma etico di decidere cosa fare, e la difficoltà di stabilire se chi hai di fronte sia lucido o no. Perché, nonostante i no vax si dicano informati, praticamente nessuno prima di ammalarsi ha compilato le disposizioni anticipate di trattamento (le Dat, ovvero il testamento biologico, ndr)».
Così c’è chi dal letto, pur col fiato corto, minaccia di continuo denunce, per una terapia che non vuole, o al contrario perché non una che non gli viene concessa, come ad esempio il «solito» plasma iperimmune. In alcuni reparti Covid ordinari, dove i pazienti stanno meno male e sono ancora più aggressivi, sono successi casi di malati che hanno cercato di tirare via la mascherina ai sanitari o di strappare loro la tuta. Per un momento di rabbia e, non per la volontà di infettarli, ma forse per dimostrare che il virus è un’invenzione. Così, il dottor Pavoni ha trovato una soluzione, invitare i famigliari, debitamente protetti con tuta e mascherina, in reparto: «Anche se spesso condividono le posizioni del parente ammalato, il fatto di vederlo nelle condizioni in cui è, li sconvolge. E spesso sono loro a convincerlo a farsi curare». Sono le famiglie, dal vivo o per videochiamata, a fare la differenza. L’hanno fatta anche nel caso del no vax ora ricoverato. Tra gli intubati, uno su due sopravvive, uno su due non ce la fa. È la macabra lotteria di chi si è arreso troppo tardi alla realtà. Ma nella terapia intensiva Covid di Ponte a Niccheri non c’è tempo da perdere: è in arrivo da Pistoia un paziente quarantenne. È vaccinato? In reparto ancora non lo sanno. Ma sanno che la guerra al Covid è ancora lunga.